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L’unica istituzione che si salva in 1992 è Miriam Leone

Dopo 25 anni la lacerazione inferta al paese dall’inchiesta Mani Pulite può dirsi per nulla rimarginata. Nel ripercorrere quegli anni, attraverso le immagini della serie 1992 in onda su La7, si percepiscono alcuni aspetti che minano il rapporto tra i cittadini e le istituzioni avvelenando il clima di coesistenza civile. In particolare la difficoltà di separare gli uomini dalle istituzioni. Quando Di Pietro è aizzato dalla gente che lo incita a non fermarsi, siamo di fronte a un singolo individuo (anche se in quel momento rappresenta un’istituzione) le cui pulsioni vengono alterate dal senso comune nel quale confluisce la rabbia di una massa indistinta che radicalizza rapidamente i suoi intendimenti.
Quando Di Pietro è a tu per tu con uno dei politici o degli imprenditori che si spartivano le tangenti siamo in una situazione in cui, al netto di ciò che ciascuno rappresentava, un uomo è di fronte a un altro uomo. E la vittima (l’accusato) non accetta che il corso della giustizia si muova per mano di chi ha di fronte (nel ruolo di carnefice).
È un difetto culturale che il paese sconta da tempo e sul quale poco si è fatto. Manca il senso civico e manca una cultura civica. Manca il senso delle istituzioni. E qui sta la debolezza del sistema democratico. Non a caso è persino stato messo in dubbio il fatto che la democrazia si fondi sulla rappresentanza in favore della competenza. Pensiamo solo che quella stagione ha prodotto uno come Andrea Romano. Per dire.
Il disastro civile del paese con Mani Pulite si è così avvitato in due derive altrettanto aberranti. Quella del populismo secondo cui il rappresentato è migliore del rappresentante (Lega, M5S), e quella degli Ottimati secondo cui il competente è migliore del rappresentante (Scelta Civica).
Sono passati 25 anni e il paese non è stato capace di creare alcun tipo di anticorpi, ma solo tanti, troppi globuli bianchi. Praticamente è malato di lupus.

In 1992 l’unica istituzione che si salva è Miriam Leone.


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