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Mezzogiorno: per recuperare il ritardo ci vuole managerialità

Roberto Race
Roberto Race

“Cambiare il punto di vista ed evitare di pensare che il Sud sia il luogo del rimpianto e della sconfitta è il primo passo da compiere sulla via del cambiamento. Ci sono molte cose che non vanno, lo sappiamo, ce lo ricordano anche i tanti che sono convinti, sbagliando, che il declino sia il nostro destino, il destino dell’Italia, il destino del nostro Sud. Penso che non sia così, che il Sud meriti un’attenzione seria e profonda che non passa dalle notizie a effetto o da improbabili soluzioni miracolistiche” sono le parole usate da Matteo Renzi nella prefazione del libro di Gianni Pittella e Amedeo Lepore “Scusate il ritardo. Una proposta per il Mezzogiorno d’Europa” edito da Donzelli.

Il volume offre al Governo e a tutti i coloro che credono che il Paese potrà ripartire solo se il Sud diventerà un motore di sviluppo anche undici progetti strategici.

A coordinarli e a creare un fil rouge Claudio Cipollini, manager con interessanti esperienze di lavoro in Italia e all’estero sui temi dell’innovazione e dello svilupppo, al quale ho chiesto di anticipare attraverso il mio blog alcuni dei progetti e delle considerazioni presenti nel libro.

 

Claudio Cipollini
Claudio Cipollini

 

Scusate il ritardo

di Claudio Cipollini

Un problema quello del Mezzogiorno che sta finalmente venendo alla ribalta tanto che tre tra i maggiori giornali italiani (Corriere della Sera, Repubblica e Sole 24 ore) durante le vacanze natalizie hanno anche pubblicato articoli di autorevoli giornalisti (Galli della Loggia , Scalfari e Napoletano) che però ricordavano solo come il Mezzogiorno fosse un problema importante dell’Italia, trascurato dal Governo e dal Parlamento. A parte il fatto che proprio in queste settimane il Governo sta invece intervenendo (vedi Masterplan e Patti con le Regioni e le Aree Metropolitane, nonché i vari interventi specifici per Bagnoli, Taranto, ecc), quello che lascia perplessi e incuriositi è il perché di questo improvviso ricordo non accompagnato peraltro da nessuna inchiesta approfondita e tantomeno con un rinvio ai provvedimenti in corso. E allora cogliamo solo il lancio della notizia e proviamo ad approfondire qualche aspetto in modo meno polemico e politico e più tecnico-manageriale prendendo invece l’occasione delle proposte contenute nel libro.

In esso Gianni Pittella, forte della lunga attività svolta nel Parlamento europeo, da vicepresidente di questa istituzione e ora capogruppo del Pse e Amedeo Lepore, storico economico e meridionalista di grande competenza, ora impegnato nella Giunta regionale della Campania, si pongono il tema di fondo se si può colmare, il «ritardo» del Sud. Si possono concepire i suoi problemi in termini di concreta ricerca delle soluzioni? O si deve pensare al «divario» come a una irremissibile condanna? Dopo decenni di discussioni stanche e ripetitive, declinatesi via via in tono minore, cui ha corrisposto una sostanziale paralisi nella elaborazione di progetti e iniziative, il dibattito sulle condizioni del nostro Mezzogiorno sta assumendo auspicabilmente, in questa fase, caratteri più concreti. Alle storiche contrapposizioni tra meridionalismo classico e neomeridionalismo, o tra intervento «dall’alto» e intervento «dal basso», sembra possibile sostituire una visione di sintesi più operativa. Si tratta di indicare i filoni fondamentali di un disegno di sviluppo che riguardi quelle dotazioni economiche e civili di cui il Sud ha più che mai bisogno. Al centro del lavoro vi è l’idea di una «convergenza attiva» del Mezzogiorno nel contesto nazionale ed europeo. Una convergenza che richiede, da parte dei meridionali, sangue e passione, e soprattutto la capacità di guidare il proprio percorso di riscatto. Al governo nazionale e alle istituzioni europee si impone d’altro canto il compito di garantire una strategia nazionale ed europea, partendo dalla consapevolezza che «se il Sud ha bisogno di buone politiche, non è meno vero che l’Italia e l’Europa hanno bisogno del Sud» . E’ un libro – proposta ideato e realizzato con un gruppo di esperti multidisciplinare il che ha consentito sia di avere la vision politico-strategica, sia di vedere concretizzarsi –pur nell’ambito ristretto del volume – le idee integrate da riferimenti culturali e esperienze sul campo.

 

Una visione manageriale

 

Da manager quello che mi piacerebbe prefigurare è comunque come si potrebbe procedere per finalmente ottenere i risultati sperati e raggiungere gli obiettivi che si auspicano. Lascio al Governo il duro – ma anche affascinante – compito di prendere le decisioni adeguate, e vorrei qui approfondire gli aspetti più propriamente manageriali e gestionali che appartengono alla mia esperienza professionale.

Da questo punto di osservazione quello che andrebbe rilevato è se ci sono le condizioni ora e nei prossimi anni per ottenere l’obiettivo di fondo che dovrebbe essere ed è quello del benessere sociale e economico della popolazione meridionale, intendendo con ciò le imprese, il volontariato, la stessa pubblica amministrazione, gli anziani e i lavoratori e in particolare i giovani e le donne del Sud che più hanno sofferto e soffrono delle occasioni perse.

Per questo, come in ogni buona organizzazione e comunità di persone, le principali condizioni alla base dovranno essere comunque, o meglio “a prescindere”(in ricordo anche dell’ultima rivista teatrale di Totò, dopo lo “scusate il ritardo” di Massimo Troisi), la Responsabilità, il Rispetto e la Reputazione di tutti gli attori del processo. Responsabilità dei politici e dei pubblici amministratori nel proporre obiettivi e nel monitorarne l’attuazione rispondendo ai cittadini elettori degli errori e delle mancanze; responsabilità dei dirigenti e funzionari della pubblica amministrazione nel portare avanti le strategie definite nei tempi e con le risorse stimate pronti a trarne le conseguenze positive e negative; responsabilità degli imprenditori e del sistema imprenditoriale delle grandi e delle piccole e medie imprese nel esprimere i propri bisogni e nel sviluppare le proprie aziende attraverso processi, prodotti e servizi sostenibili ambientalmente, economicamente e socialmente (con tutte le implicazioni immaginate e immaginabili); responsabilità degli imprenditori dell’economia civile, degli addetti e dei volontari delle imprese sociali nel fornire assistenza e servizi alla comunità per il bene comune; responsabilità infine di tutti i cittadini del Mezzogiorno nel loro essere parte integrante di uno Stato con le sue regole e con l’impegno del lavoro e del rispetto reciproco. Responsabilità che implicherebbero il Rispetto e valorizzerebbero la Reputazione. Tre “R”che sintetizzano un approccio e un metodo nuovo che forse servirebbero per affrontare un compito arduo e complesso come quello dello sviluppo di oltre venti milioni di persone.

E comunque le condizioni che da punto di vista organizzativo e manageriale dovrebbero essere soddisfatte sono varie iniziando dalla necessità di un approccio sistemico e complesso che consenta di gestire nel tempo e nei contenuti la varie variabili in gioco sia dal punto di vista relazionale sia tecnico. Un approccio multidisciplinare che veda al tavolo a supportare la politica, gruppi di esperti economisti, sociologi, biologi, fisici, filosofi, urbanisti, trasportisti, giuristi, comunicatori, psicologi e altri a seconda del tema comunque complesso (C. Cipollini “La mano complessa. Condivisione e collaborazione per la gestione dello sviluppo dei territori ”, Ed. ETS Pisa 2011).

Altra condizione è quella di sapere qual è la vision che la politica e di conseguenza la maggioranza della popolazione ha per il propri territori per i prossimi tre, cinque, dieci anni. Dove e come ci si vorrà posizionare nel panorama nazionale e internazionale con le caratteristiche e i valori delle comunità e dei territori? In quali settori eccellere e competere? Che brand avere? Afferma Pittella nel libro “Quando si osserva il Mezzogiorno dall’esterno, un aspetto che balza agli occhi è la mancanza di una visione, di una strategia condivisa promossa dai territori e inserita in un quadro nazionale. Nei Patti che stanno per essere firmati tra Governo e regioni e Aree metropolitane il nodo della vision è previsto come cappello dell’accordo. Vedremo nelle prossime settimane qualità e dimensione delle varie istanze concordate. Certo è che se non si sa dove andare è difficile poterci arrivare anche avendone le risorse (che in questo caso arriveranno – se pur in ritardo di due anni – e cospicue -90 miliardi – ma per l’ultima volta).

Ci sarebbe poi la necessità di avere una buona coesione sociale e desiderio di partecipare cose ottenibili prima di tutto con quei servizi di base quale lo scolastico, il sanitario e l’assistenza agli anziani, ma anche con una forte azione di team building diremmo in azienda che si potrebbe tradurre in partecipazione e senso della comunità dove lo Stato svolge il suo ruolo ripagando i cittadini con infrastrutture e servizi pubblici efficienti. Un processo quindi che dovrebbe essere avviato subito per costruire e decidere gli obiettivi e le strategie per l’intero Mezzogiorno insieme, un processo che prenderà del tempo, ma che avrà insieme l’obiettivo anche di mobilitare le coscienze dei meridionali e la consapevolezza di tutti gli italiani. Lo ricordava alcune decenni fa Deng Xiaoping che per raggiungere il consenso servono lunghi processi decisionali e sperimentazioni “poggiando i piedi su ogni sasso per guadare il fiume”.

Insieme alla partecipazione l’altro tassello dovrebbe essere quello della rete. Una rete da valorizzare non solo tra le imprese, ma anche, specie in questa fase tra le amministrazioni pubbliche e tra le città e le aree metropolitane. Tra gli altri Rifkin sintetizza ottimamente i vantaggi di stare in rete non solo dal punto di vista economico, ma anche emotivo quando afferma che “La rete impone, a chi vi partecipa, la rinuncia ad una parte della propria autonomia e della propria sovranità; d’altro canto la spontaneità e la creatività che “germogliano” in un ambiente cooperativo, offrono ai partecipanti un vantaggio competitivo della nuova economia high tech. Le conseguenze sono quelle di un’onda che permea ogni giorno sempre più il nostro agire, facendoci rendere conto in ogni campo che possiamo ottimizzare – ma non rendere perfetto – il risultato desiderato attivando le reti di relazioni e non più la proprietà del nostro individualismo.” (Rifkin J. -2000, L’era dell’accesso. La rivoluzione della new economy, Mondadori, Milano). È quanto ribadiscono, passando dal mondo del business a quello più generale e totale dell’intero globo, Tapscott e Williams quando affermano che anche le imprese potranno prosperare in futuro se faranno propri i principi della collaborazione, apertura, condivisione, integrità e interdipendenza, principi fondamentali per tutti per andare verso un mondo sostenibile socialmente, ambientalmente e economicamente (Tapscott D., Williams A.D.,2010, Macrowikinomics, Rizzoli, Milano). Quindi nessuna impresa potrà fare a meno di essere in rete in modo consapevole, essendolo già nella realtà anche se spesso negata. Ben dice Nowak quando afferma che “Forse il maggior aspetto rimarcabile dell’evoluzione è la sua labilità di generare competizione in un mondo competitivo quindi noi potremmo aggiungere la “cooperazione naturale” come il terzo fondamentale principio di evoluzione dopo la mutazione e la selezione naturale” (Nowak M.. Five rules for the evolution of cooperation. Science 2006). Nell’era della complessità, è sulla rete (on line, off line) che si governa il mondo. Fare rete, essere in rete oggi e domani sta diventando obbligatorio. Se non entriamo nella “rete” velocemente siamo out da qualsiasi possibilità di creare sviluppo, tanto più sostenibile. Rete tra amministrazioni e reti tra imprese in primis. Per quanto attiene alle amministrazioni forse varrebbe la pena “costringerle” a dialogare sui programmi con obiettivi comuni e diretti sugli stessi target nella convinzione che il riscontro “elettorale” si ha meglio e valorizzato se si ottengono i risultati anche condivisi tra vari attori piuttosto che “sparpagliati” e individuali.

Per quanto riguarda invece le imprese il tema rischia di diventare nei prossimi anni vitale. Le caratteristiche delle imprese italiane e meridionali in particolare sono di essere micro e piccole. Questo è sostanzialmente e antropologicamente dovuto alle nostre caratteristiche storiche e culturali fondate, sinteticamente, sull’individualismo e sulla creatività. Ma ormai questi che sono stati i nostri fattori critici di successo non bastano più. In Italia piccolo era bello. Ora non più. Serve fare massa critica e avere le dimensioni adeguate per essere competitivi sui mercati globali. Se poi andiamo a esaminare quali sono le tipologie di imprese vincenti sul lato export vediamo che distretti industriali e imprese del quarto capitalismo (le medie imprese internazionali dette anche le “multinazionali tascabili”) sono le uniche vincenti. Nasce quindi forte e ben argomentato (non certo qui, ma dall’analisi dei dati e degli scenari competitivi internazionali) la prospettiva di un “quinto capitalismo italiano” fatto dalle imprese che fanno rete dentro e oltre i confini dei distretti. Senza perdere la propria identità e specificità, anzi valorizzandola e esaltandola. Certo c’è un investimento da fare, che non è un costo: condividere gli obiettivi con gli altri partecipanti della rete, rinunciare a decidere da soli e farlo insieme. Per questo serve comprensione, coraggio e fiducia. La stessa che ogni imprenditore ha e deve avere per sviluppare la propria azienda comunque. Alla Pubblica Amministrazione sui territori (Regioni, Aree Metropolitane, Comuni e Camere di Commercio) il compito e il dovere di trovare integrazioni e alleanze per ascoltare e supportare adeguatamente le imprese; alle imprese il compito e il dovere di fare.

Non dovrebbe poi mancare un pizzico d’innovazione sia nella realizzazione del classico edificio scolastico (i materiali?, L’ecosostenibilità? Ovvero qualche sperimentazione sugli aspetti didattici e distributivi), sia nell’individuazione di nuove fonti energetiche rinnovabili, ovvero nella gestione del trasporto pubblico o nelle strategie turistiche. Innovazione che pertanto dovrebbe essere spalmata come una crema rinvigorente su tutti gli attori dello sviluppo e quindi nella pubblica amministrazione, nelle scuole e nelle università e centri di ricerca (se non altro nelle modalità di raccordo con le imprese) e nelle imprese (dalle micro con il barbiere che copia una nuova acconciatura da un sito australiano, alla piccola agroalimentare che inizia a esportare i suoi prodotti tipici con il commercio elettronico, alla media che adegua i processi produttivi e di controllo di gestione – ricordo che le MPMI sono il 97% delle imprese nel Mezzogiorno – fino alle grandi). Se continuiamo a illuderci che l’innovazione è solo quante start up nascono all’anno, avremmo perso prima di iniziare qualsiasi attività. In questi settori, come in altri nel libro Pittella e Lepore hanno proprio voluto, attraverso le undici proposte progettuali, mettere a disposizione non solo e non tanto i progetti in se stessi, quanto la dimostrazione che è su questi temi e con un approccio sistemico e innovativo che solo si può affrontare con possibilità di successo la sfida del Mezzogiorno.

Ma con quali risorse lanciare la sfida? Tre i sistemi a cui si dovrebbe e potrebbe attingere e lavorare: quelle territoriali, quelle umane e quelle finanziarie. Le prime rappresentano complessivamente la storia, le tradizioni, la cultura e le caratteristiche naturali di un territorio. E al Sud da questo punto di vista siamo in presenza di un capitale enorme e nettamente sotto utilizzato. Ben ricordano Sfodera e Schiavelli nei progetti sul turismo e sull’agricoltura quanto ancora è possibile fare in questi campi portando ricchezza e sviluppo.

Per quanto riguarda le capacità professionali è oggi in parte una criticità della quale va preso atto e occorrerebbe reagire responsabilizzando gli addetti, iniziando dai dirigenti, prevedendo anche l’eventuale perdita del posto di lavoro secondo peraltro quanto prevede la recente legge sulla Pubblica Amministrazione, avviando un’adeguata modernizzazione culturale del personale attraverso modalità formative e informative efficienti e efficaci (e quindi non ripetendo modelli e metodi di formazione di cui è dimostrata l’inutilità) e l’inserimento di giovani adeguatamente preparati (per esempio sul tema della cultura digitale dove abbiamo gravissimi handicap) e valorizzando le capacità manageriali, la professionalità e le competenze tecniche e culturali delle persone chiamate a gestire e attuare le politiche di sviluppo sia a livello macro sia regionale. Un bilancio delle esperienze recenti e passate non è esaltante e occorre prenderne atto senza peli sulla lingua e promuovere le migliori professionalità. Nella Pubblica Amministrazione e nel privato occorrono manager e tecnici (dirigenti e funzionari) che siano adeguati ai temi da affrontare, responsabili, selezionati con sistemi internazionali e non clientelari – stante che l’obiettivo non è un lavoro per pochi, ma il lavoro e il benessere per tutti – misurati su obiettivi trasparenti e adeguatamente ricompensati. Di origine meridionale ce ne sono tanti sparsi nel mondo e in Italia, se gli si prospettasse di realizzare un sogno, certamente tornerebbero. Sarebbero le condizioni per consentire al Sud “di modernizzarsi da solo” come afferma Felice (“Perché il Sud è rimasto indietro” Il Mulino – Bologna -2014), purché le istituzioni economiche e politiche attuassero nella grande maggioranza – e magari velocemente – un profondo processo di trasformazione qualitativa avendo oltre “alla competenza e al rigore, … la costanza e i coraggio civile” creando così le condizioni per generalizzarlo e avere effetti durevoli (A. Quadro Curzio e M. Fortis in “L’economia reale nel Mezzogiorno” Il Mulino, Bologna -2014).

E infine il terzo sistema quello finanziario. Qui per almeno i prossimi cinque-sei anni arriveranno certamente risorse pari a circa 90 miliardi di € che dovranno consentire di rilanciare una volta per tutte il Mezzogiorno, anche perché sarà l’ultima volta che ci saranno. I programmi – tra i quattordici PON nazionali, e i ventiquattro tra POR e PSR per le otto Regioni meridionali – sono pronti. La vera sfida dovrebbe essere quella della loro gestione complessiva. I Patti con le Regioni e le Aree Metropolitane da questo punto di vista dovrebbero essere la chiave di volta. Vedremo quando saranno approvati e come si evolveranno nei prossimi mesi.

 

Come organizzarsi?

 

La complessità delle criticità e delle stesse opportunità e potenzialità di sviluppo del Mezzogiorno portano obbligatoriamente a affrontare anche il tema organizzativo, strumento indispensabile per ottenere i risultati progettati e raggiungere gli obiettivi.

Un modello organizzativo e di governance che va adeguato e tarato rispetto alla visione e agli obiettivi dati e che quindi deve attenere sia all’aspetto più propriamente politico-amministrativo sia tecnico – manageriale. Dalla loro nascita le Regioni negli ultimi quarant’anni si sono andate fortemente rafforzando nel loro ruolo e nei relativi poteri che, in particolare nel Mezzogiorno e con poche eccezioni, hanno avuto notevoli difficoltà nel mantenere una governance adeguata alle sfide attese. Nel libro Lepore affronta approfonditamente le motivazioni di quanto successo, quello che è ormai accertato e indispensabile è intervenire celermente per sanare la situazione (come del resto prevede lo stesso Accordo di Partenariato con l’Unione Europea) individuando soluzioni che corresponsabilizzino la mano del governo nazionale e dei governi regionali (i Patti) e conseguentemente adeguino l’organizzazione in modo che sia in grado di governare l’attuazione complessiva. Per quanto riguarda il primo aspetto il Governo si è impegnato nel Masterplan a riorganizzare la Cabina di Regia , certo è che, come afferma Soriero che sarebbe molto utile se il tutto fosse impostato anche “vincolando le Regioni alla condivisione di Programmi sovraregionali di rilevo strategico per la nuova Europa.” (Soriero G. (2014-2015) “Sud. Vent’anni di solitudine” Donzelli- Roma). A tal proposito vale anche quanto suggerito da Trigilia quando parla di Maastricht del Sud e dei legami reciproci tra centro e periferia per consentire una maggiore efficacia delle politiche per il Sud (Trigilia C. (2012) “ Non c’e’ Nord senza Sud”. Il Mulino – Bologna). Poi si spera che finalmente sia ben messo a punto il sistema delle tecnostrutture (Agenzia per la Coesione Territoriale, Invitalia, ma anche, perché no, – a rete come accennavo prima – le altre organizzazioni pubbliche a seconda degli obiettivi e dei risultati attesi), puntando sull’efficienza con la missione di supportare managerialmente e tecnicamente le politiche nazionali e regionali. Un’organizzazione dove potrebbe essere non solo provocatorio “esaltare al massimo il conflitto d’interessi” coinvolgendo e responsabilizzando sia gli organi governativi nazionali sia quelli locali nelle diverse rappresentanze.

 

E per fare cosa?

Afferma Lepore nel libro: “I passaggi fondamentali da compiere in direzione di una nuova strategia nazionale e meridionalistica sono quattro: la ripresa di una visione di fondo per lo sviluppo del Mezzogiorno (…); la dotazione di risorse adeguate alla realizzazione degli obiettivi di investimento, sia pubblico che privato, (…); la propensione a favorire un pieno coinvolgimento delle istituzioni e della società nella costruzione di un’idea e di una concreta possibilità di modernizzazione del Sud; la definizione di un modello di governance efficace (…).”

E’ in questo quadro che si collocano i progetti proposti, i cui contenuti rispondono peraltro sostanzialmente agli undici Obiettivi inseriti nell’Accordo di Partenariato (Accordo di Partenariato 2014-2020 tra Italia e Unione Europea che definisce strategie e obiettivi dei Fondi Strutturali) , ma con un approccio a livello macro-regionale per consentirne una migliore efficienza e efficacia di risultati per la popolazione meridionale. Sono stati predisposti da manager ed esperti dei vari settori di competenza e hanno in comune la caratteristica di essere integrati, intersettoriali e funzionali al raggiungimento di uno specifico obiettivo. Ciascuno di essi richiede inoltre, per poter essere realizzato, una forte integrazione nazionale ed europea, e un’adeguata proiezione mediterranea. Tutti quanti puntano a un’opportuna valorizzazione del capitale umano. Tutti fanno riferimento a risorse già potenzialmente disponibili e non necessitano di risorse aggiuntive. Tutti, infine, si propongono di realizzare alcune condizioni e alcuni obiettivi che vanno al di là del loro singolo terreno di attuazione e riguardano aspetti essenziali su cui è necessario «recuperare il ritardo» che il Mezzogiorno ancora oggi presenta. Proviamo qui a riassumere i punti più significativi che li accomunano:

  • Rendere le comunità locali coese e integrate. Afferma Borgomeo nel suo intervento (progetto 1): «Se non c’è una comunità coesa, non c’è amore per le regole e non c’è sviluppo». Questa allora è la priorità, insieme alla lotta alla criminalità che si fa anche valorizzando civilmente e imprenditorialmente i beni confiscati alle varie mafie locali (Caputo, progetto 2) e all’integrazione dei diritti e delle culture di donne, giovani e immigrati.
  • Valorizzare la rete delle specificità locali. Esposito nel suo intervento (progetto 3) ricorda come ormai molti tra i maggiori esperti internazionali di sviluppo «sottolineano il nesso essenziale tra industrializzazione, sviluppo, società civile e caratteristiche culturali e ambientali, secondo una logica che implica la necessità di valorizzare gli aspetti storico-locali». Lo stesso concetto è espresso da Sfodera (progetto 4) quando propone un modello di sviluppo turistico basato sulle caratteristiche fisiche e sociali delle comunità locali, e tale concetto è basilare anche per un idoneo sviluppo del settore agroalimentare delle eccellenze (Schiavelli, progetto 5).
  • Diffondere cultura e innovazione. Matera capitale europea della cultura nel 2019 deve essere l’occasione per coinvolgere tutto il Mezzogiorno e poi anche il Mediterraneo allo scopo di valorizzare le capacità di cambiamento culturale. insieme, a breve termine, deve esservi una forte azione sulle competenze digitali delle persone e delle imprese, chiave indispensabile per accedere ai nuovi mondi dell’innovazione dove applicare anche i risultati della ricerca dopo un nuovo patto tra università e imprese (Cipollini, progetto 6). E, a medio-lungo termine, i risultati attesi dagli opportuni investimenti nella scuola e nell’alternanza scuola-lavoro, dove, ricorda Rossi (progetto 7), il tema della sostenibilità ambientale deve entrare pesantemente.
  • Migliorare la mobilità interregionale e locale. Gli standard oggi esistenti in quasi tutto il Sud sono insoddisfacenti e non consentono la valorizzazione dei settori di sviluppo. Tra le città e i territori, nonché tra il Sud e il Nord dell’Italia e dell’Europa, vi sono troppe strozzature a livello di servizi e di infrastrutture. tutto questo comporta seri problemi alle industrie manifatturiere agroalimentari per l’esportazione, al turismo per l’attrazione di stranieri, ai professionisti per l’ottimizzazione dei tempi di lavoro. Alcuni di quelli indicati sono interventi infrastrutturali e tecnologici (l’Alta velocità Napoli-bari e l’Alta capacità sulle linee adriatiche e tirreniche, l’utilizzo dei binari nelle città e nelle aree urbanizzate locali per le ferrovie; alcuni collegamenti stradali a livello urbano e di alcune connessioni di nodi intermodali quali porti e aeroporti) al- tri, la gran parte, sono soluzioni gestionali e di servizi (gestione dei porti, degli interporti e degli aeroporti, servizi per il trasporto pubblico locale; cipollini, progetto 8).
  • Accrescere le competenze digitali. È necessario affiancare e assistere associazioni di categoria, sindacati, piccoli imprenditori, artigiani e commercianti e i dipendenti sul campo, nelle imprese e accompagnarli verso le nuove frontiere digitali attraverso le attività di nuova informazione, l’alternanza scuola-lavoro (avvicinando giovani nativi digitali e imprenditori), workshop in-formativi capillari sul territorio, il coinvolgimento di aziende operanti nel digitale nel processo di alfabetizzazione di imprese più a carattere «tradizionale». il tema «banda larga» è prioritario, ma bisogna rendere competenti (e quindi richiedenti i servizi che fornisce la banda larga) i cittadini e le imprese (Cipollini, progetto 9).
  • Favorire la crescita di reti d’impresa. Si tratta di organizzare adeguatamente l’internazionalizzazione delle imprese (al Nord ci si investe il 20% delle risorse pubbliche destinate, al Sud solo l’1%); di irrobustire i processi di innovazione e trasferimento delle tecnologie dai settori maturi a quelli cosiddetti «abilitanti» (settori poco sensibili a generare innovazione) e infine di far leva sui settori già presenti e consoni alle specificità locali (l’agroalimentare, settori dell’abbigliamento, aerospazio, meccanica e meccatronica) per la loro capacità di generare spillover tecnologici, produttivi e conoscitivi (Esposito, progetto 3). Tutto questo costituendo finalmente le Zone Economiche Speciali, una grande opportunità «misteriosamente» attivata solo con l’ultima legge di Stabilità, che tra l’altro potrebbe dare un significativo contributo anche al ruolo dei porti in una prospettiva medi- terranea e internazionale (Berlinguer, progetto 10).
  • Organizzare l’amministrazione pubblica con modalità multilivello (a livello nazionale, macro-regionale, regionale e comunale). Per consentire una programmazione integrata e sistemica e un monitoraggio delle azioni complessivo e unitario per ciascun tema di intervento, prevedendo la possibilità concreta di avere quei poteri sostitutivi necessari per raggiungere i risultati attesi, con le risorse programmate e nei tempi previsti (Rossi, progetto 7).
  • Avere di mira la sostenibilità, puntando sulle energie rinnovabili e alternative. ogni azione, attività e intervento pubblico e privato dovrà essere impostato e verificato nella sua sostenibilità ambientale, sociale ed economica, mentre dovrà essere garantita quella istituzionale (Esposito, progetto 3). Gli obiettivi di Europa 2020 e poi quelli per il 2030 e il 2050 non sono solo una «direttiva comunitaria», ma soprattutto un’esigenza vitale di tutti. Dai dati rilevati (Giustino, progetto 11) è possibile prevedere l’opportunità di organizzare delle vere e proprie filiere per la produzione delle biomasse, la lavorazione e la commercializzazione di carburanti «verdi». Grande opportunità potrà essere altresì lo sviluppo dei biocarburanti double counting che potrebbero dare una nuova vita ai rifiuti alternativa alla termovalorizzazione. in ogni caso, i tre i settori applicativi offrono ancora grandissimi spazi di sviluppo per il nostro paese sia per i fabbisogni interni sia per la creazione di una vera e propria filiera di export, sfatando definitivamente il luogo comune secondo cui le fonti rinnovabili rappresentano solo un costo netto per la collettività da sostenere per il bene della salute del pianeta. Lavorare sul mix delle fonti rinnovabili, sull’innovazione tecnologica, sull’incentivazione della ricerca teorica e applicativa sarebbe per il nostro paese un investimento dal ritorno «garantito».

In questo panorama e con questo bagaglio di proposte e esperienze nascerebbe infine naturale proporre un progetto unitario per tutto il Sud (tra Regioni e/o Comuni e privati). Un progetto che sia innovativo nella procedura, nell’approccio e utile e concreto. Il Piano Juncker (ufficialmente noto come Fondo europeo per gli investimenti strategici – FEIS), recentemente varato dall’Unione Europea da questo punto di vista è più che adatto e si potrebbe applicare per esempio per questi interventi:

  1. Mobilità sostenibile locale per interventi di innovazione tecnologica per migliorare e aumentare l’offerta di trasporto pubblico su ferro e la mobilità locale;
  2. Infrastrutturazione digitale e aumento delle competenze digitali per le PMI;
  • Istruzione e formazione per le PMI nel settore turistico per aumentare le competenze di accoglienza e di servizio e nei settori manifatturieri per aumentare le capacità di internazionalizzazione (tenendo conto delle risultanze degli attuali interventi del Ministero dello sviluppo economico)
  1. Costituire le Zone Economiche speciali e assisterne l’insediamento delle imprese integrando l’intervento con quelli previsti ai punti ii);
  2. Realizzare piattaforme on line e off line di interscambio tra ricerca e imprese
  3. Nell’ambito quindi delle energie rinnovabili l’utilizzo della fonte geotermica per la produzione di calore e raffrescamento per gli edifici.

Alla condivisione tra Regioni, Enti locali e imprese la scelta su cosa e come portarlo avanti.

Concludo questo piccolo esercizio di managerialità citando Gianni Pittella nel capitolo conclusivo quando con la visione politica e la trasparenza che lo distinguono afferma: “«Mezzogiorno d’Europa», dunque, significa, prima di ogni cosa, un’assunzione di responsabilità diretta, la consapevolezza che la soluzione dei nostri problemi e la realizzazione delle condizioni per un avvenire profondamente migliore, in una parola, la ripresa di un andamento dinamico e di un cammino di benessere può venire solo da una volontà comune e da un’idea condivisa di sviluppo. Molte saranno le difficoltà e gli ostacoli lungo questo tragitto, ma se la meta è chiara e le forze in campo consapevoli, se le capacità di innovazione e le idee di riforma sorreggeranno il disegno di una prospettiva tanto ambiziosa e di tale importanza storica, il Mezzogiorno potrà risvegliarsi e contribuire alla rinascita dell’Italia.

Dietro il vetro della piccola stanza in cui sto scrivendo le ultime battute di questo libro non mi ero accorto che c’è il piccolo Egidio che mi sta guardando. Si è appena svegliato dal suo riposo pomeridiano e mi fissa. Vorrei dirgli, idealmente insieme ad Amedeo Lepore che ha condotto con me questo lavoro: «Scusa il ritardo, ma non ti deluderò. Non posso deluderti». e non possiamo deludere gli sguardi di speranza di milioni di italiani, giovani e meno giovani, che meritano un futuro migliore, un Mezzogiorno davvero europeo.”

 

 

 

 

 

 

 



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