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Perché Nato e Russia si parlano

Le notizie che giungono dai canali diplomatici più riservati parlano al mondo dell’intelligence di una ripresa dei contatti tra Nato e Russia. Il ministro degli Esteri russo Serghej Lavrov avrebbe incontrato più volte il segretario della Nato Jens Stoltenberg in questi ultimi mesi, segretamente, ma con una certa regolarità È vero che non bisogna, dunque, mai disperare. La civiltà delle buone maniere diplomatiche e del segreto di Stato non è morta. Lo strepitio sui diritti umani e sull’intransigenza morale belluina che prelude alle ghigliottine oggi guidate dai droni, è un paravento oppure una co-presenza: ossia esiste. Unitamente a una tradizione diplomatica che nonostante Leo Strauss e tutti i libri contro Niccolò Machiavelli non è scomparsa. Anche negli Usa di Barack Obama. Ecco la bella notizia.

E tutto ciò nonostante l’intransigenza polacca e baltica. Forse dopo anni di dominazione sovietica quegli Stati si stanno accorgendo che stanno per mettere la testa in un sacco altrettanto buio e dispotico (certo meno brutale e terribile, ma la storiografia non è la qualità primaria dei popoli) che si chiama Ue e quindi vogliono tenersi le mani libere. Quindi si profila all’orizzonte un senso comune che conta in primis sugli Usa, perché si ritorni a un saper viver diplomatico senza idi cui il mondo non può che precipitare nella catastrofe.

Io voglio appunto sperare che questo soffio di saggezza venga soprattutto dagli Usa.

Certo la sapienza di Lavrov e della grande scuola diplomatica sovietica – unitamente ai successi in Siria – gioca per la sua parte. Quella scuola ora continua anche dopo la morte di Evgenij Primakov, che è stato colui che ha propugnato sino al suo ultimo soffio di vita il ritorno della Russia sulla scena globale.

Il problema sarà l’Ucraina, ma non bisogna dimenticare che, su un punto forse ancor più importante per il controllo dell’heartland, Nato e Russia incrociano i loro destini secondo un’antica e radicata politica estera russa impersonificata dal grande ispiratore di Primakov, ossia Aleksandr Michajlovič Gorčakov, ministro degli Esteri della Russia dal 1856 al 1882 e protagonista politico dell’espansione dell’impero russo in Asia Centrale.

Gorcakov riuscì a far annullare, (dopo la sconfitta francese del 1870 nella guerra contro la Germania), le pesanti clausole imposte alla Russia dal Trattato di Parigi del 1856, per via della sconfitta subita dallo zarismo nella guerra di Crimea. In tal modo consentì al suo paese, grazie all’ ottenuta  neutralità dell’Austria, l’attacco della Russia all’Impero ottomano, nel 1877.

Vladimir Putin persegue esattamente questo obiettivo, che oggi si traduce nella stabilità dell’influenza russa nell’Asia Centrale ed è per questo che non può evitare il conflitto con Ankara. Ma anche la Nato ha la necessità di dare una bella strigliata ad Ankara e al suo neo sultano dalle aspirazioni tanto grandi quanto limitati sono i suoi mezzi. Ankara non può decidere di far ciò che vuole delle basi Nato in Turchia. Non può più decidere da sola. La Turchia ricorda la Francia: aspirazioni neo imperiali, ma mancanza di mezzi e d’ingegni diplomatici. Di qui per entrambe un destino di mosche cocchiere.

Usa e Russia possono scacciar via le mosche cocchiere dalla criniera del cavallo. Proseguano quindi i colloqui.

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