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Perché in Sardegna gli alberghi sono in subbuglio contro Europa e Regione

Sardegna

Quasi 17 milioni di euro da restituire. 1.573 posti di lavoro a rischio. 9.000 posti letto persi e 18 alberghi coinvolti. Sono solo alcuni dei numeri che potrebbero mettere in ginocchio l’industria alberghiera della Sardegna, uno degli asset economici principali della regione dei quattro mori.

Quella che ha travolto il sistema alberghiero sardo è una storia che comincia nel 1998 e precisamente con una legge emanata dalla regione sarda che porta il nome di legge regionale 11.3.1998 n° 9.

Il testo prevedeva che ai proprietari di alberghi, che partecipavano al bando, venissero riconosciuti contributi economici compresi tra il 30 e il 40% per l’ampliamento e l’ammodernamento delle strutture ricettive costruite sull’isola. Molti furono gli imprenditori che vennero invitati dalla regione stessa a presentare domanda per partecipare al bando e aggiudicarsi i finanziamenti, che nel 2002 cominciarono ad essere assegnati. Pochi anni dopo, la Commissione Europea evidenziò una violazione della libera concorrenza aziendale e sancì l’illegittimità di quel sistema di sostegno perché, i soldi europei potevano essere erogati solo per lavori di ampliamento e ammodernamento iniziati dopo la presentazione della domanda. La Regione, però, dimenticò di inserire questa clausola nel bando, mettendo così tutti gli albergatori che, di fatto, avevano usufruito dei finanziamenti, in una posizione di illegittimità nei confronti di “mamma Europa” che decise, così, di aprire una procedura di infrazione, obbligando i beneficiari di quei contributi, a restituire i soldi ricevuti più tutti gli interessi maturati.

Da questo momento in poi, la vicenda prosegue nelle aule dei tribunali, prima a Lussemburgo, con sentenza di primo grado secondo cui gli aiuti concessi dalla Regione Sardegna a favore dell’industria alberghiera devono essere restituiti, per poi passare alla giustizia amministrativa, sino ad arrivare al tribunale civile di Cagliari. I titolari delle strutture incriminate hanno accettato i dettami europei per la restituzione dei contributi entrando però in contenzioso con la regione, accusata di aver omesso nel bando la clausola che ha dato il via a tutta la vicenda.

Intanto a Bruxelles sulla battaglia degli albergatori è stata presentata una interrogazione da parte dell’europarlamentare di origini sarde Stefano Maullu, in cui si chiede se “il beneficiario abbia diritto a vedersi riconosciuto quanto il predetto ha versato a titolo di imposte, oneri, tributi e aggi, di carattere  nazionale, nel senso che l’importo chiesto in restituzione deve essere determinato al netto delle imposte, degli oneri, dei tributi e aggi già versati o pretesi dalle autorità nazionali, considerato che il sacrificio imposto al beneficiario: a) non può essere sproporzionato, cosa che invece accadrebbe se il beneficiario fosse costretto a computare nell’obbligo restitutorio anche le imposte, oneri, tributi e aggi già versati all’autorità nazionale; b) non deve rendere praticamente impossibile il pagamento degli importi dovuti secondo il diritto UE; c) non deve privare dell’effetto utile il recupero dell’aiuto, poiché l’impresa beneficiaria non deve essere costretta ad adottare provvedimenti di grave rilevanza sul piano economico, sociale e lavorativo (licenziamenti del personale, ricorso a procedure concorsuali, cessazione dell’attività etc.)”.

Ad oggi solamente otto imprese hanno restituito quanto dovuto, per tutti gli altri le richieste di risarcimento oscillano tra 140 mila euro, per gli alberghi più piccoli, fino a oltre due milioni per quelli più grandi. A tali cifre però devono essere aggiunti gli interessi maturati sul capitale (circa il 60% dell’intero ammontare) e gli aggi di Equitalia (circa il 10% sul montante, che comprende sia il capitale sia gli interessi).

Bruxelles per ora ha concesso una tregua: una dilazione di dodici mesi per restituire gli aiuti e scongiurare la crisi occupazionale. Ma a quale prezzo?

Nel serrato confronto degli ultimi mesi tra la Giunta regionale e le istituzioni europee, il risultato è stato che: per considerare adempiuto l’obbligo di recupero, gli imprenditori che pagano, devono rinunciare alle clausole di salvaguardia vale a dire: riserva di ripetizione all’esito positivo delle cause da essi intraprese. La Commissione ha fissato anche delle condizioni molto rigide, due su tutte, la decadenza dal beneficio della dilazione in caso di ritardato o mancato pagamento anche di una sola rata e nessuna sospensione dei pagamenti, precisando poi anche le condizioni alle quali si asterrà dal depositare l’azione di procedura di infrazione (ex art. 260 par. 2 TFUE). Tra queste il carico alle autorità italiane dell’onere della prova, con cadenza mensile, al 10 di ogni mese, dell’avvenuto pagamento delle rate di recupero e di provare, entro il prossimo ottobre, il completo pagamento di tutte le spettanze.

Il piano di recupero potrebbe, però, non risolvere i problemi delle aziende e la situazione potrebbe restare drammatica. Per ora le azioni esecutive sono state bloccate. La richiesta, sia degli albergatori sia di Federalberghi, è che si faccia pressing su Equitalia affinché vengano abbattuti gli aggi e sull’Agenzia delle Entrate affinché compensi le tasse già pagate al momento della ricezione dei contributi.

Quello che è certo è che la soluzione per evitare la multa e la restituzione dei contributi non c’è. Oltretutto con la transazione si pretende che le imprese coinvolte rinuncino ai giudizi pendenti da loro promossi rinunciando anche a nuove azioni legali, abdicando così all’esercizio dei loro diritti.

Ce lo chiede l’Europa.

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