A un mese esatto dall’inizio delle primarie, con le assemblee di partito nello Iowa, resta ancora folto il gruppo degli aspiranti repubblicani – sono 12 -, mentre i democratici sono tre, ma di fatto una, cioè l’ex fist lady Hillary Rodham Clinton.
Prima del via ai voti, ci saranno ancora almeno due dibattiti fra i candidati repubblicani: giovedì 14, sulla Fox Business; e giovedì 28, sulla Fox News, proprio da Des Moines, la capitale dello Iowa, moderato dalla stessa squadra di giornalisti – Bret Baier, Megyn Kelly e Chris Wallace – che suscitò molte polemiche al primo dibattito in agosto, quando gli spettatori furono ben 24 milioni.
Dopo le assemblee nello Iowa il 1° febbraio, il calendario delle primarie prevede il Neh Hampshire il 9 e la South Carolina il 20 e ancora le assemblee nel Nevada. Il 1° marzo, sarà il ‘Super-Martedì’ con voti in 12 Stati: una giornata forse determinante, pur se l’incertezza, almeno fra i repubblicani, potrebbe protrarsi più a lungo.
E c’è chi pensa che la partita possa rimanere aperta fino alla convention repubblicana, a Cleveland, nell’Ohio, dal 18 al 21 luglio, mentre quella democratica si svolgerà a Filadelfia, in Pennsylvania, dal 25 al 28 luglio.
I repubblicani tuttora in campo sono, in ordine di favore nei sondaggi: Donald Trump, battistrada quasi ininterrottamente dall’estate, oggi con il doppio delle preferenze sul rivale più prossimo, magnate dell’immobiliare e showman, forte della sua brutale franchezza che però gli aliena il voto dei moderati, degli ispanici e delle donne; Ted Cruz, senatore del Texas, molto vicino al Tea Party, in ascesa; Ben Carson, ex neurochirurgo, l’unico nero, guru del buon senso o della banalità, in calo dopo una fiammata nei sondaggi autunnale; Marco Rubio, senatore della Florida, di origine cubana – come Cruz -, il più giovane, candidato di riserva dell’establishment, ben dotato finanziariamente, stabile nei sondaggi; Jeb Bush, ex governatore della Florida, figlio e fratello del 41° e 43° presidente, il favorito in partenza e l’uomo dell’establishment, ma fiacco nei dibattiti e incapace d’emergere nei sondaggi, se gli viene meno l’appoggio della finanza è fuori; Carly Fiorina, l’unica donna, ex ceo di Hp, bravina nei dibattiti, trasparente prima e dopo, senza alcuna esperienza politica come Trump e Carson.
Ci sono poi quelli di cui si parla meno: Chris Christie, governatore del New Jersey, politico e avvocato, corporatura massiccia, con sussulti nei dibattiti e nei sondaggi; John Kasich, governatore dell’Ohio, l’ultimo sceso in campo, più consistente del previsto; Rand Paul, senatore del Kentucky, libertario, figlio d’arte, il padre fu più volte candidato alla Casa Bianca del Partito libertario e candidato alla nomination repubblicana; Mike Huckabee, ex governatore dell’Arkansas, pastore e predicatore battista, un veterano delle campagne, nel 2008 fu primo nello Iowa; Rick Santorum, ex senatore della Pennsylania dal 1995 al 2007, cattolico integralista, figlio di padre italiano di Riva del Garda e di madre italo-irlandese, corse per la nomination nel 2012, arrivando primo nello Iowa; Jim Gilmore, ex governatore della Virginia, mai in evidenza finora nella campagna.
Hanno già abbandonato in ordine di tempo l’ex governatore del Texas Rick Perry, che fu candidato alla nomination anche nel 2012 senza esito; i governatori di Michigan Scott Walker e Louisiana Bobby Jindal; il senatore della South Carolina Lindsey Graham; e l’ex governatore dello Stato di New York George Pataki.
I democratici sono Hillary Rodham Clinton, moglie dell’ex presidente Bill Clinton, ex first lady, senatore dello Stato di New York e segretario di Stato, nettamente favorita; Bernie Sanders, senatore del Vermont, indipendente che si autodefinisce ‘socialista’, Martin O’Malley, ex sindaco di Baltimora e governatore del Maryland. Sono stati comparse nella campagna Lincoln Chaffee, governatore del Rhode Island, e Jim Webb, ex senatore della Virginia.
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