In attesa di presentarsi a Bruxelles perché il Regno Unito resti nell’Unione europea alle sue condizioni, David Cameron si gode il suo momento migliore da quando, quasi 6 anni fa, è diventato primo ministro del Regno Unito. Una leadership moderata riconosciuta e inattaccabile tra i Tories, dove tutti i potenziali rivali sembrano meno primeministerial di lui, e un quadro partitico in cui i LibDems sono quasi spariti, il Labour disgregato in fazioni e privo di una guida che sappia ambire a governare il Paese, lo UKIP e i nazionalisti scozzesi neutralizzati rispettivamente dal sistema maggioritario e dal referendum per l’indipendenza fallito nel 2014, hanno determinato l’egemonia politica dell’attuale primo ministro.
Gli ingredienti sono quelli di un premier destinato a durare, forse, a lungo, tanto più che il Times ha pubblicato un sondaggio in cui sembra che la maggioranza degli elettori britannici voglia che Cameron arrivi minimo fino a fine mandato senza alcun cambio di leadership in corso di legislatura.
A dare qualche grattacapo a Cameron però c’è la politica estera, e in particolare le relazioni tra Regno Unito e Arabia Saudita, nazione che sta giocando una partita decisiva per il suo futuro assetto geopolitico nello scacchiere mediorientale. Erano passate solo poche ore dal rinnovato scontro tra la monarchia saudita e l’Iran per la condanna a morte dell’imam Nimr al-Nimr, che la rivista conservatrice Spectator aveva già impaginato un pezzo, firmato dal deputato Tory Tom Tugendhat, in cui si ricordava ai lettori che il vero nemico del Regno Unito è l’Iran degli ayatollah e che la guerra contro la Repubblica Islamica è in realtà in corso da anni. Tugendhat, ex militare della British Army di stanza in Afghanistan, ha sottolineato come la “Quds Force dei Guardiani della Rivoluzione di Teheran guidata da Qassem Suleimani sia in guerra contro il Regno Unito al di fuori dei confini iraniani in tutto il Medio Oriente, con l’obiettivo di cacciare l’invasore dalle terre islamiche”. Per molti osservatori il tempismo non deve destare sospetti: il Regno Unito e il governo Cameron non nutrono molta simpatia per il regime iraniano, nonostante il recente accordo sul programma nucleare del Paese sciita.
Wikileaks aveva poi rivelato che il governo Cameron si era segretamente accordato con i sauditi per spartirsi i seggi all’interno della Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, la cui presidenza finì proprio all’Arabia, Paese non modello per il rispetto dei diritti civili e delle libertà politiche.
Dopo la condanna a morte di 47 jihadisti – tra cui un buon numero di oppositori politici – il vice cancelliere tedesco Sigmar Gabriel, ha annunciato una revisione delle politiche commerciali tedesche nei confronti del regime saudita, con particolare riferimento alla vendita delle armi, un business in cui operano molte aziende britanniche.
L’organizzazione non governativa CAAT (Campaign Against Arms Trade) ha affermato che, sin dagli anni Sessanta, l’Arabia Saudita è uno dei più grossi clienti di armi britanniche, e che circa 240 civil servant e militari in forza al ministero della Difesa britannico lavorano per l’implementazione giuridica ed economica degli accordi tra i due Paesi. Accordi che – da quando Cameron è primo ministro – hanno fruttato alla casse del Regno Unito oltre 5,6 miliardi di sterline.
Un rapporto di Amnesty International UK stima che solo nella prima metà del 2015, il Regno Unito abbia concluso affari con Re Salman per un valore di 1,75 miliardi di sterline. Si tratta di un rapporto strategico, da cui hanno tratto beneficio entrambi gli Stati ma che oggi crea qualche problema a Cameron. spesso criticato per questo, visti i legami ideologici tra i sauditi e il fondamentalismo islamico wahabita (e alcune accuse, a loro rivolte, di aver finanziato in modo opaco alcuni gruppi estremisti).
Il riacutizzarsi dello storico antagonismo tra i sauditi e l’Iran nel panorama geopolitico mediorientale ha ridato ai Tories nuova linfa per riaffermare la special relationship con Riad.