Nella corsa alla nomination repubblicana alla Casa Bianca, il 2016 comincia come il 2015 era finito: in testa al lotto degli aspiranti – ne restano una dozzina – c’è Donald Trump, che, in un sondaggio Nbc/SurveyMonkey, ha il 35% dei consensi, davanti ai senatori Ted Cruz (18%) e Marco Rubio (13%). Nessun altro è in doppia cifra: il tramonto del neurochirurgo nero Ben Carson, dopo la fiammata autunnale, appare irreversibile, come va avanti senza sussulti Jeb Bush.
La pubblicazione del rilevamento, il primo del 2016, coincide con la ripresa di fermento della corsa dopo la relativa pausa di fine anno: i repubblicani si coagulano contro il presidente Barack Obama e la sua emula Hillary Clinton sia per la decisione di aumentare i controlli sulle vendite di armi – “Non ci lasceremo togliere le nostre armi”, dice Trump, che però riconosce la sincerità delle lacrime del presidente nell’annunciare le misure il 5 gennaio – sia per il test nucleare effettuato il 6 gennaio dalla Corea del Nord.
C’è chi prevede che l’accordo con l’Iran sul nucleare, raggiunto nel 2015, avrà come sbocco proprio l’atomica iraniana, anche se, per Trump, tocca alla Cina risolvere il problema nordcoreano. Anche Hillary Clinton è dura con il regime di Pyongyang: “Non bisogna cedere al bullismo”, dice.
Esplodono tensioni, fin qui sopite, fra Trump e Cruz, vicino al Tea Party e alternativo al magnate dell’immobiliare: tirando fuori un vecchio tema, Trump ricorda che Cruz è nato in Canada e sostiene che va, quindi, escluso dalla corsa, perché solo chi è nato sul suolo statunitense può diventare presidente.
In realtà, la questione appariva già superata: la Costituzione richiede che il futuro presidente sia “nato cittadino americano” e Cruz lo era in quanto figlio di cittadini americani, sia pure d’origine cubana, temporaneamente espatriati. Il senatore texano, a Natale, era stato oggetto di una vignetta del Washington Post che ne ritraeva le due figlie come scimmiette: l’indignazione suscitata aveva indotto il giornale a ritirarla, sostituendola con un editoriale.
Oltre che con Cruz, Trump polemizza sempre con i Clinton, quasi fosse già al duello finale. Ma deve rispondere, in questi giorni, a chi lo critica per avere usato, nel suo primo spot televisivo, immagini del Marocco, e in particolare dell’enclave spagnola di Melilla, in territorio marocchino, come se fossero quelle del confine tra Messico e Stati Uniti. La campagna dello showman sostiene di averlo fatto non per errore, ma per scelta, per mostrare quello che succede quando si lascia aperta una frontiera.
Infine, il parlamento britannico discuterà il 18 gennaio la petizione popolare, che ha raccolto 570mila firme, per bandire Trump dal Regno Unito, dopo la sua proposta di impedire l’ingresso negli Usa ai musulmani.
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