Diciamo le cose come stanno: le sofferenze sui crediti del nostro sistema bancario, che superano di poco i 200 miliardi di euro al lordo delle svalutazioni già effettuate, sono state causate dalla crisi profonda dell’economia. Non bisogna minimizzare né enfatizzare, ma trovare una via di uscita che sia socialmente accettabile, finanziariamente sostenibile, e che soprattutto serva a tracciare un nuovo sentiero di sviluppo e di modernizzazione.
Basta guardare solo al passato, limitarsi alla rottamazione.
C’è naturalmente chi cerca di dare la colpa delle difficoltà delle banche italiane al sistema delle relazioni amicali, quello dei prestiti concessi a chi non se lo meritava: ma, se fosse vero così, ci si dovrebbe spiegare perché fino al 2008 le sofferenze bancarie erano ai livelli più bassi in Europa.
Ci sono due categorie distinte di sofferenze. Ci sono quelle numerosissime delle famiglie in difficoltà, quasi ottocentomila casi, che si riferiscono ad importi mediamente assai esigui: dietro ci sono le persone che in questi anni hanno perso il lavoro. Ci sono prestiti personali e mutui immobiliari, le cui rate sono state pagate regolarmente per anni ed anni: con il sistema della cessione delle sofferenze, le banche cedono sia il mutuo sia le garanzie sul credito, come l’ipoteca che grava sull’immobile. Questo verrà venduto con aste giudiziarie senza un livello minimo prefissato, a prezzi stracciati: una casa comprata per 100, viene aggiudicata a 20. Questa è la prima mattanza: le famiglie in difficoltà non solo perderanno la proprietà della casa, ma, visto il prezzo di vendita, anche tutti i soldi che hanno pagato sia per acquistarla sia per pagare il mutuo.
Serve una soluzione diversa, sistematica: l’acquisto in blocco dei mutui in sofferenza da parte di un Fondo immobiliare con la garanzia pubblica, che subentra nelle ipoteche iscritte a garanzia. Le banche riceverebbero l’ammontare iscritto a bilancio come sofferenza netta, dopo la svalutazione dei crediti che hanno già spesato a bilancio: per loro, niente nuove perdite. Con l’adesione da parte del proprietario in ritardo con i pagamenti, il Fondo diverrebbe proprietario dell’immobile fino al suo riscatto, a seguito del pagamento delle rate rimaste ancora da pagare. Le rate del nuovo mutuo sarebbero scaglionate su un più lungo periodo di tempo, considerando quanto già pagato inizialmente e poi versato negli anni. Si eviterebbero altre svendite immobiliari, con un nuovo tracollo dei prezzi, e soprattutto di mettere in mezzo alla strada centinaia di migliaia di famiglie.Niente avvoltoi, dunque.
C’è poi il problema dei crediti in sofferenza concesse alle aziende, che sono concentrati in due grandi comparti: da una parte, l’edilizia e l’immobiliare, dall’altro la manifattura. Nel primo caso, un Fondo di investimento con garanzia pubblica dovrebbe subentrare alle banche nei crediti concessi ai costruttori ed agli immobiliaristi, anche stavolta al prezzo delle sofferenze nette, pagando con obbligazioni ventennali che prevedono il pagamento degli interessi in una unica soluzione, alla scadenza. Vent’anni sono un periodo più che sufficiente per far riprendere il mercato: i singoli operatori, nel frattempo, avrebbero la possibilità di gestire al meglio la loro attività, senza l’angoscia di doverci rimettere tutto e l’incubo del fallimenti. Anche in questo caso, gli avvoltoi starebbero alla larga.
(estratto di un’analisi più ampia pubblicata sul sito Teleborsa)