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La guerra dell’Europa alla Cina partirà dall’acciaio

La Commissione europea è pronta a nuove misure anti dumping per difendere le aziende che operano nel comparto siderurgico e dell’acciaio. Cecilia Malmostrom ha deciso di accelerare il dossier e ha scritto all’omologo cinese, il ministro per il commercio estero, Gao Hucheng dicendosi pronta “ad aprire nuove inchieste anti dumping” se la Cina non adotterà “le misure necessarie a ridurre la sovracapacità nazionale di produzione siderurgica”.

“Siamo pronti”, hanno spiegato a Formiche.net dallo staff del Commissario al Commercio “ad applicare tutti gli strumenti esistenti a nostra disposizione per sostenere e garantire parità di condizioni, nell’ambito e nel rispetto del diritto comunitario. Ciò include l’uso di strumenti di difesa commerciale, come anti-dumping (AD) o antisovvenzioni (AS), per proteggere i produttori europei di acciaio contro il commercio sleale. Ci sono 34 misure definitive in vigore sulle importazioni di prodotti siderurgici. Abbiamo nuove indagini in corso per 6 prodotti siderurgici, e siamo sempre disposti a guardare a casi ben motivati, che i produttori europei vorranno denunciarci”.

In particolare, secondo un documento messo a punto dalla stessa Commissione l’eccesso della capacità produttiva di acciaio in Cina nel 2014 “è stato di circa 340 milioni di tonnellate, che rappresentano più del doppio della produzione annua di acciaio grezzo dell’Ue nello stesso anno (169 milioni di tonnellate)”. Una sovrapproduzione che rischia di mettere in ginocchio un intero comparto che in Europa occupa 360mila persone (circa 85.000 in meno rispetto al 2008) e il cui fatturato complessivo è di 170 miliardi di euro.

L’accelerazione sui dazi sull’acciaio è dovuta, spiegano fonti diplomatiche, anche al pressing del governo londinese che è quello più colpito dalla concorrenza sleale cinese insieme ai governi di Italia, Belgio e Francia. È un tema che è emerso anche dagli incontri informali che si sono svolti ad Amsterdam dove i ministri del commercio estero dei 28 paesi Ue si sono riuniti per fare un punto sulla questione, compreso il riconoscimento dell’economia di mercato alla Repubblica popolare cinese.

Su questo aspetto la spaccatura in Europa è oramai palese: favorevoli al riconoscimento solo Regno Unito, Olanda e Stati nordici. In mezzo c’è la Germania, dove Angela Merkel è tentata di aprire a Pechino ma anche preoccupata di abbandonare la propria industria alle minacce della concorrenza asiatica. C’è chi fa notare come Berlino sia più morbido verso Pechino anche perché ha appena ricevuto il disco verde a ricoprire la vicepresidenza più pesante della AIIB, la Asian Infrastructure Investment Bank fortemente voluta dalla Cina, conquistando le deleghe da chief operating officer, mentre la Gran Bretagna quelle alle comunicazioni e all’organizzazione dei meeting nella persona di Danny Alexander, molto vicino al Cancelliere dello Scacchiere George Osborne.

Ma la partita è ancora lontana da una soluzione. La stessa Commissione interpellata da Formiche.net ha risposto che vi sono tre scenari possibili. Il primo prevede la concessione dello status di economia di mercato così come è da dicembre 2016, il secondo di rafforzare la difesa commerciale in assenza dei dazi antidumping, il terzo, e forse più plausibile, è di posticipare in una data ancora da concordare la concessione di market economy, una sorta di “moratoria” che però andrebbe negoziata in ambito Wto e con la stessa Cina.

Intanto il governo italiano resta attento ad un dossier che considera fondamentale per le sue aziende e il Partito democratico nel Parlamento Europeo ha iniziato da diversi giorni ad alzare la voce su soluzioni al ribasso che danneggerebbero la nostra industria. “E’ stato grazie alle pressioni del nostro gruppo – ha osservato l’europedutata Alessia Mosca – se attendiamo una decisione nella seconda metà del 2016. Durante questi mesi potremo lavorare per una valutazione coordinata, consapevoli che tutta la costruzione del sistema anti-dumping non può essere annullata in modo unilaterale, dall’oggi al domani”.

Il tema è scottante. Gli USA hanno già dichiarato che non riconosceranno lo status di economia di mercato alla Cina e sembra oramai chiaro che Brasile, India, Messico, Canada e molti altri saranno sulla stessa linea. Ciò su cui insiste il Pd e lo stesso governo di Matteo Renzi è l’opportunità che “il riconoscimento avvenisse soltanto previo coordinamento con i maggiori partner commerciali, in primis gli USA”. “Se l’Unione Europea fosse l’unica grande realtà economica a garantire il Mes – spiegano dal Pd –  le esportazioni cinesi verso gli altri partner commerciali sarebbero deviate verso l’Ue, con effetti ancora non prevedibili per la nostra economia”.


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