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Ai parlamentari cattolici: non votate il ddl Cirinnà. O dimettetevi

Siamo arrivati al dunque. Il cosiddetto ddl Cirinnà sulle unioni civili omosessuali si appresta ad essere votato. Come voteranno i parlamentari cattolici, soprattutto quelli che sostengono il governo Renzi? La posizione che sembra emergere è di un sostanziale via libera alle unioni civili e, allo stesso tempo, di un voto contrario sulla cosiddetta stepchild adoption. Eppure, se i politici cattolici (e non solo) si rendessero conto sul serio di ciò che comporterebbe per l’Italia l’approvazione anche solo delle unioni civili omosessuali, forse ci penserebbero due volte prima di votare sì. Non solo. Ma se fossero coerenti, dovrebbero uscire seduta stante dalla maggioranza di governo, anche se sappiamo già che non accadrà. Col risultato che se, come sembra ormai certo a meno di un intervento della Provvidenza, anche l’Italia darà un riconoscimento giuridico alle unioni tra persone dello stesso sesso, ciò sarà accaduto anche grazie (o a causa) ai parlamentari cattolici. I quali, e non da oggi, spesso e volentieri sono soliti giusticarsi distinguendo tra sfera etica e morale, e ancor più di fede, che per sua natura riguarderebbe l’intimo della persona, la sua vita interiore e, in ultima istanza, la coscienza, e sfera della scelte politiche, che in quanto attinenti alla vita pubblica, in nome di una fraintesa laicità debbono essere neutre rispetto ad ogni credo, confessione religiosa, sistema di valori. Detto altrimenti: il mio essere cattolico riguarda la mia vita privata, in pubblico sono un cittadino e un politico che deve “giocare” con le regole della democrazia. Un atteggiamento, questo, che se per un verso la dice lunga sul grado di “protestantizzazione” del cattolicesimo, per altro verso è in aperto contrasto con quanto asserisce la dottrina sociale della chiesa. Sul punto, la Nota dottrinale della Congregazione della Dottrina della Fede del 24 novembre 2002, “circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica” – che per inciso i parlamentari cattolici farebbero bene a rileggere in queste ore – cita un passaggio della Christifideles laici di S.Giovanni Paolo II che non lascia spazio a dubbi o equivoci: “Nella loro esistenza non possono esserci due vite parallele: da una parte, la vita cosiddetta “spirituale”, con i suoi valori e con le sue esigenze; e all’altra, la vita cosiddetta “secolare”, ossia la vita di famiglia, di lavoro, dei rapporti sociali, dell’impegno politico e della cultura. Il tralcio, radicato nella vite che è Cristo, porta i suoi frutti in ogni settore dell’attività e dell’esistenza. Infatti, tutti i vari campi della vita laicale rientrano nel disegno di Dio, che li vuole come “luogo storico” del rivelarsi e del realizzarsi dell’amore di Gesù Cristo a gloria del Padre e a servizio dei fratelli. Ogni attività, ogni situazione, ogni impegno concreto — come, ad esempio, la competenza e la solidarietà nel lavoro, l’amore e la dedizione nella famiglia e nell’educazione dei figli, il servizio sociale e politico, la proposta della verità nell’ambito della cultura — sono occasioni provvidenziali per un “continuo esercizio della fede, della speranza e della carità”». Per cui, cari politici cattolici, delle due l’una: o la smettete di dirvi cattolici senza esserlo, oppure se vi dite cattolici dimostrate di esserlo. Non a chiacchere, nè nel segreto delle vostre coscienze, ma con i fatti e alla luce del sole. Come? Votando contro tutto il ddl Cirinnà, e andando fino in fondo anche a costo, se necessario, di far saltare il banco. La stessa Nota di cui sopra lo spiega in modo chiaro: è inaccettabile per un cattolico la visione secondo cui il pluralismo etico, a sua volta figlio di un certo relativismo culturale, sarebbe condizione per la democrazia. “Avviene così che, da una parte, i cittadini rivendicano per le proprie scelte morali la più completa autonomia mentre, dall’altra, i legislatori ritengono di rispettare tale libertà di scelta formulando leggi che prescindono dai principi dell’etica naturale per rimettersi alla sola condiscendenza verso certi orientamenti culturali o morali transitori, come se tutte le possibili concezioni della vita avessero uguale valore.”
Al contrario, per la vita della democrazia c’è bisogno di “fondamenti veri e solidi, vale a dire, di principi etici che per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono “negoziabili”.”
Da ciò ne consegue, prosegue la Nota, che “Quando l’azione politica viene a confrontarsi con principi morali che non ammettono deroghe, eccezioni o compromesso alcuno, allora l’impegno dei cattolici si fa più evidente e carico di responsabilità. Dinanzi a queste esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili, infatti, i credenti devono sapere che è in gioco l’essenza dell’ordine morale, che riguarda il bene integrale della persona”. Cosa vuol dire questo, in concreto? Vuol dire un no secco e deciso, ad esempio, ad aborto ed eutanasia. Ma non solo. Allo stesso modo, “… devono essere salvaguardate la tutela e la promozione della famiglia, fondata sul matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso e protetta nella sua unità e stabilità, a fronte delle moderne leggi sul divorzio: ad essa non possono essere giuridicamente equiparate in alcun modo altre forme di convivenza, né queste possono ricevere in quanto tali un riconoscimento legale
Come ho già avuto di sottolieneare altrove, se il ddl Cirinnà diventerà legge, con senza la stepchild adoption, andrà in frantumi non solo il concetto di matrimonio che abbiamo conosciuto sino ad oggi, ma molto di più. E se è legittimo e comprensibilie che i sostenitori del ddl Cirinnà portino avanti la loro battaglia, è invece piuttosto sconcertante la miopia della politica, soprattutto quella “cattolica” così come di certi settori della chiesa italiana, che non sembrano rendersi conto della vera posta in gioco. Come è possibile non vedere che il ddl Cirinnà è solo la punta dell’iceberg, e che non è altro che un tassello di una strategia più ampia, di un vero e proprio attacco ideologico che, non da ieri e a tutti i livelli, punta ad abbattere la famiglia tradizionale? E davvero i politici cattolici, e più ancora certi settori della chiesa italiana sorprendentemente immemori delle lezioni del passato, credono che tutto si possa risolvere – nel senso che non sarebbe l’ottimo ma un compromesso quanto meno accettabile – eliminando o smussando la parte relativa alla stepchild adoption? Una pia illusione (e neanche tanto pia). La questione vera è un’altra: non serve una legge sulle unioni omossesuali. Punto. E non serve non solo perché – lo ripetiamo – i diritti ci sono già, ma soprattutto perché – come è stato da più parti evidenziato (si veda in proposito uno splendido articolo di Costanza Miriano sul Foglio di qualche settimana fa) – se proprio vogliamo parlare di diritti, sarebbe oltremodo grottesco che per tutelare interessi puramente economici di una coppia omosessuale (eredità e reversibilità della pensione), si privassero i bambini del diritto – di gran lunga più importante – ad avere un padre e una madre. Ma, soprattutto, il ddl Cirinnà va contrastato per la sfida culturale che esso rappresenta. Una sfida in cui non c’entrano neanche i diritti, la vera posta in gioco essendo il concetto stesso di matrimonio e l’idea di uomo che esso implica. Staremo a vedere.


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