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Intesa Sanpaolo, Unicredit, Bnl. Cosa cambia con il Bail In per le banche italiane

Con l’entrata in vigore del bail-in il primo gennaio 2016, in caso di crisi bancarie i detentori di tutte le obbligazioni (non solo quelle subordinate) emesse da tali istituti rischiano di essere chiamati a concorrere a eventuali salvataggi, insieme agli azionisti e ai detentori di depositi superiori a 100mila euro. Se la crisi riguardasse una sola banca, il bail-in potrebbe costituire un deterrente al moral hazard e quindi essere uno strumento di risoluzione accettabile (pur non dimenticando che la corsa agli sportelli bancari può partire dal fallimento anche di una sola banca, e nemmeno grande). Il grave errore, però, è stato quello di concepire il bail-in come salvaguardia dei contribuenti contro il rischio di essere chiamati a salvare le banche, come è accaduto in molti paesi (Germania in testa) all’inizio della crisi.

Ma se la crisi bancaria fosse sistemica, qual è stata quella del 2008-2009, allora con il bail-in i contribuenti sarebbero chiamati a pagare il conto non una, ma quattro volte. Primo, con la perdita di valore dei loro asset, a causa del crollo delle quotazioni di Borsa e dei prezzi delle case. Secondo, con la diminuzione del reddito. Terzo, con la perdita di posti di lavoro. Quarto, con l’incremento della tassazione e/o con il taglio della spesa pubblica, necessari a coprire il deficit pubblico causato dal peggioramento dell’economia. Questo quadruplo conto verrebbe, infatti, presentato proprio dal mancato salvataggio delle banche per l’operare, in sua vece, del bail-in, che innescherebbe una violenta recessione. E in un sistema integrato come quello europeo il conto salato si estenderebbe (attraverso i canali della fiducia, dei legami commerciali e di quelli finanziari) anche ad altri paesi.

I nuovi rischi per i risparmiatori creati dal bail-in possono avere anche una conseguenza immediata: se la percezione di maggiore rischiosità delle obbligazioni bancarie porterà a un aumento dei rendimenti che le banche devono offrire per emetterle, ciò si rifletterà sul costo del credito offerto dagli istituti, determinando una nuova stretta. Lo stesso accadrà se tale percezione si traducesse in una riduzione dei depositi bancari detenuti dalle famiglie In Italia è elevata la quota di collocamento al dettaglio dei bond bancari, mentre in altri paesi dell’Eurozona è maggiore il ruolo degli investitori istituzionali nella sottoscrizione di obbligazioni, investitori che sono professionalmente in grado di valutare le reali condizioni di bilancio di ciascuna banca. Lo stock di obbligazioni emesse dalle banche italiane è pari a 664 miliardi, di cui 187 miliardi sono stati acquistati dalle famiglie italiane (28,2%).

La restante parte dei bond bancari è nel portafoglio di altri istituti creditizi, società di assicurazione, fondi pensione, investitori esteri. Inoltre, sulla raccolta delle banche italiane (pari a 4.074 miliardi) i bond contano molto: 16,3% (di cui il 4,6% quelli venduti alle famiglie). Valori molto più alti rispetto a altri paesi dell’Eurozona. In Germania le banche hanno emesso obbligazioni per 1.250 miliardi, di cui solo 86 miliardi sono nel portafoglio delle famiglie tedesche (6,9%, quattro volte meno che in Italia). In Spagna lo stock di bond emessi dalle banche è pari a 371 miliardi, di cui solo 1 miliardo acquistato da famiglie spagnole (0,2%). Sulla raccolta delle banche tedesche, i bond rappresentano il 15,0%, un punto e mezzo meno che in Italia, e in Spagna solo l’11,6%.

Il bail-in va, comunque, sospeso non tanto per la situazione di un paese o di un altro, ma perché sono stati valutati male i suoi reali effetti economici, che sono del tutto controproducenti proprio rispetto alle pur comprensibili ragioni che hanno spinto verso la sua introduzione.



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