Siamo entrati nell’era in cui le regole economiche si applicano al rovescio, passando dalla naturale fecondità del denaro alla inattesa deperibilità della moneta. L’era in cui il debitore restituisce meno denaro di quanto ne ha ricevuto in prestito, quella dei tassi negativi sui depositi eccedenti la riserva obbligatoria presso le Banche centrali: dalla Banca nazionale Svizzera alla Bce, dalla BoJ alla Banca Centrale di Svezia. Se ne discute anche alla Fed.
Questo mondo al contrario è già accettato per i titoli di Stato: pagano interessi negativi agli investitori. Non solo la Germania, ma anche l’Italia si finanziano in danno degli investitori: restituiranno meno di quanto hanno ricevuto.
Se le conseguenze di questa nuova situazione sono ancora tutte da comprendere, è bene fare un passo indietro per capire perché ci siamo arrivati. Una moneta che deperisse lentamente ma implacabilmente, è stata la pietra filosofale ricercata dai non molti economisti-alchimisti che ritengono incompatibile con tutte la natura e le opere dell’uomo una moneta incorruttibile nel caso che manchi di copertura aurea: se non è dato trasformare alcunchè in oro, non è sensato che una moneta abbia le virtù dell’oro senza avere con questo alcun rapporto. Se, poi, la moneta non serve solo allo scambio, ma anche alla accumulazione della ricchezza, si può tesaurizzare monete che abbiano copertura aurea, e che per tale ragione mantengono valore nel tempo. Ma è arduo teorizzare un sistema che assicuri il valore nel tempo ad una moneta solo fiduciaria, senza copertura alcuna: è solo carta, moneta fiduciaria. La ricchezza accumulata in banconote, ma ancor più quella che si desume dalle scritture contabili, è già implausibile. Il suo valore dipende da quanta se ne crea: fintantochè serve alla regolare circolazione di merci e servizi a prezzi stabili, e per assicurare la liquidità dei mercati finanziari, la questione rimane confinata ad un dibattito irrisolto, dacchè nessuno ha mai potuto stabilire con certezza quanta ne moneta. E’ un esercizio empirico.
Il problema oggi nasce dal fatto che tutte le Banche centrali, cominciando dalla Fed, hanno immesso liquidità, neppure banconote, per reflazionare l’economia ed i mercati finanziari dopo la crisi del 2008: aumentano la disponibilità sui conti intrattenuti con i singoli istituti.
L’aumento della liquidità si era reso necessario in quanto il mercato interbancario si era infartuato: le banche disponevano di liquidità esuberante non si fidavano più a prestarla, anche solo per pochi giorni, alla controparte che ne faceva richiesta per timore di un default o comunque di un mancato rimborso. Fu la Federal Reserve a farsi prestatore di ultima istanza. Nel contempo, venivano abbassati i tassi, per agevolare la ripresa del credito ed i debitori con mutui a tassi variabili. La liquidità del Qe2 fu utilizzate al di fuori dagli Usa: ad esempio in Brasile, che fu colpito da uno tsunami monetario, come l’ebbe a definire il suo Ministro dell’economia Guido Mantega. Altre risorse si riversano sul petrolio e sulle materie prime, con improvvisi ed altrimenti ingiustificati rialzi dei prezzi: la scommessa su una rapida ripresa dell’economia reale alimentò questi impieghi. Si fece meglio con il Qe3, comprando titoli federali e Mbs, per sostenere la spesa pubblica e asciugare il mercato dei mutui immobilari: l’economia americana riprese a crescere.
Nel caso della Bce, dopo gli intempestivi rialzi del tasso di riferimento decisi nel marzo e nel luglio del 2011, sui mercati si diffuse il timore di un default dei debiti sovrani dei Paesi PIIGS, con livelli inusitati degli spread sui loro titoli. Il neo Governatore Mario Draghi provvide, già a settembre, ad operare una prima riduzione del tasso di riferimento, immettendo poi liquidità illimitata a tre anni, al tasso fisso dell’1% con le LTRO. Le banche la utilizzarono per acquistare i titoli venduti a piene mani dagli altri operatori e le nuove emissioni. Superata l’emergenza, la Bce cercò invano di alimentare il credito, con le operazioni di T-Ltro a questo finalizzate, pur escludendo i mutui immobiliari per evitare bolle dei prezzi. La morsa feroce sui bilanci pubblici, stretta con il Fiscal Compact per arrivare al pareggio strutturale, aveva fatto cadere in recessione numerosi Paesi dell’Eurozona. Nell’Eurozona il canale di trasmissione della politica monetaria è rimasto chiuso. In Italia, il credito al settore privato si è contratto dai 1.588 miliardi di euro del gennaio 2014 ai 1.551 miliardi del gennaio scorso.
Tutti gli sforzi compiuti fra il 2012 ed il 2013 per restituire fiducia tra gli operatori bancari e nella stabilità dei debiti pubblici, testimoniata dalla discesa dei depositi di conto corrente presso la Bce, passati fra il 2012 ed il 2013 da 509 a 220 miliardi di euro, furono vanificati. Ed infatti, tutte la nuova liquidità disposta con l’acquisto di CB e di Abs, nonché di titoli di Stato con il successivo Qe, ha riportato i depositi dai 185 miliardi del 2014 agli astronomici 557,1 miliardi del 26 gennaio scorso. E tutto questo avviene nonostante la accresciuta penalizzazione dei depositi presso la Bce, che pagano un tasso dello 0,30%.
La troppa liquidità, il timore per la volatilità delle Borse e le incertezze degli altri impieghi hanno indotto a rifugiarsi nei titoli di Stato, che così pagano anch’essi interessi negativi: la morsa si stringe pure sulle banche, per le perdite sulla liquidità presso la Bce e su molti titoli di Stato.
Abbiamo l’economia reale in rallentamento, i prezzi che tendono alla deflazione, i listini di Borsa in discesa e contemporaneamente un aumento della liquidità depositata presso le Banche centrali. E’ come un tavolo verde su cui sempre più numerosi giocatori non mettono più le fiche: tutti aspettano che la fortuna giri.
Le misure tradizionali di mercato aperto volte a drenare la liquidità eccessiva, in questo momento sarebbero pericolose. Le banche centrali come la Fed, che detengono un consistente stock di titoli federali, hanno timore a venderli: determinerebbero sul mercato una variazione del prezzo a cui sono detenuti da banche, assicurazioni e fondi di investimento, con minusvalenze non calcolabili. Si è arrivati così alla penalizzazione dei depositi: un incentivo a risalire sulla giostra. Se non si gioca, si perde di sicuro.
Si ipotizza di estendere la penalizzazione ai depositi bancari dei singoli risparmiatori: potrebbe avere come effetto un’accelerazione dei consumi, visto che nel tempo i risparmi si decumulano. Secondo questa ipotesi, tanto più è forte l’attesa di prezzi calanti, tanto più dovrebbe essere elevata la penalizzazione dei depositi. Naturalmente, questa misura sarebbe efficace solo se i depositanti non decidessero di liquidare il conto, detenendo contanti: la messa al bando delle banconote di grosso taglio, che siano i 500 euro o i 100 dollari americani, così come l’obbligo fi effettuare tutte le transazioni in via elettronca servirebbe a chiudere ogni possibile via di fuga.
E’ come se i giocatori stanchi del tavolo verde, che volessero tornare in possesso dei quattrini, trovassero sprangata la cassa del Casinò: il Banco non cambia più le fiche, perché sa bene che non rientreranno.
Si è creato un cortocircuito tra sistema dei pagamenti e sistema bancario, come hanno ben sperimentato i cittadini greci quando furono chiusi gli sportelli, plafonati i ritiri dai bancomat e bloccate le transazioni sulle carte di debito: tutti prigioneri. I soldi, le ricchezze mobiliari, non erano più disponibili, per nessuno: un incubo.
Il sistema monetario è stato stravolto dal momento in cui, per sostenere l’economia, le banche centrali hanno cominciato a creare liquidità ulteriore rispetto a quella necessaria agli scambi, senza però utilizzare il canale del finanziamento del Tesoro per immetterla subito nel circuito economico, ma affidandosi al canale bancario: si è perso l’ancoraggio ed insieme lo strumento che aveva tenuto in piedi fino ad allora un sistema monetario senza copertura aurea ed uno schema di intervento capace di reflazionare l’economia.
La regola era quella di far detenere il debito pubblico aggiuntivo direttamente dalle banche centrali, e non dai singoli istituti, retrocedendo al Tesoro gli interessi per non gravare sul bilancio; senza ridurre i tassi a zero, livello da cui è impossibile il ritorno alla normalità. Ed invece, abbiamo le banche zavorrate di debito pubblico, rendimenti negativi che le penalizzano, la liquidità inerte. Ad ogni errore che si è commesso, per rimediare se ne sono commessi almeno due, e così esponenzialmente.
Per salvare le banche, gli Stati si sono indebitati. Per ridurre i debiti, questi hanno strangolato l’economia. Per fuggire dal rischio, le banche rimangono liquide. Per disincentivare la liquidità, si impongono tassi negativi. Per accelerare i consumi, si penalizza il risparmio.
Se si affonda, un motivo c’è: dagli alchimisti e dagli apprendisti stregoni, davvero, non c’è nulla di buono da imparare.