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Ecco come Bloomberg guarda il tritacarne delle primarie

Le primarie in Iowa non segnano affatto l’avvio della campagna per le nomination alle presidenziali americane del prossimo 8 ottobre. I candidati, Democratici e Repubblicani, si sfidano dentro gusci vuoti: la sfida è tripolare, tra Washington, Main Street e Wall Street. Il candidato di quest’ultimo establishment, Michael Bloomberg, correrà da indipendente: non ha partecipato in Iowa, né correrà alle prossime primarie tra una settimana nel New Hampshire. Non si lascerà sfiancare, sfidare, né tanto meno pesare dal voto dei caucus: piomberà alla fine, quando i candidati dei due partiti tradizionali avranno dimostrato la loro sconsolante pochezza. La stampa, come i media televisivi, stanno già al gioco.

Tutti i pronostici della vigilia sono stati ribaltati perché, per la prima volta, la realtà sociale americana non ci sta a fare da specchio alla sua rappresentazione mediatica: l’ultima volta, nel 2008, ci riuscì miracolosamente Barack Obama coinvolgendo una impensabile mole di elettori all’insegna dello slogan “Yes, we can”: il sogno americano aveva trovato, ancora una volta, lo schermo su cui proiettarsi. Ma da allora troppo tempo è passato, troppe sono state le giravolte in politica estera, ed ancor più cocenti le delusioni sugli effetti perversi dell’Obamacare. L’incertezza sull’economia interna pesa sulla campagna elettorale come un macigno. L’aumento dell’occupazione è stato ottenuto con il job-hopping, spezzettando i posti di lavoro, licenziando e riassumendo a tempo ridotto; spesso a meno di 29 ore settimanali, per stare sotto la soglia dell’Obamacare. È così che i costi della sanità pubblica si sono accresciuti, mentre le assicurazioni private hanno comunque incassato gli aumenti sui premi derivanti da clausole più stringenti sui recessi.

Gli elettori, che rappresentano Main Street, hanno le idee chiare: dai candidati democratici vogliono sentirsi parlare di lavoro stabile e ben pagato; ai candidati repubblicani, chiedono invece una forte riduzione delle tasse, visto che ormai servono prevalentemente per mantenere le Forze Armate più potenti del mondo, ed per sovvenzionare un Welfare pubblico che distribuisce Social Card a decine di milioni di cittadini. Sono spese che ormai non vanno più bene a nessuno: l’America è stanca di sfiancarsi per gloria, come accadeva alla Grande Armée di Napoleone alla vigilia della disfatta di Borodino. Si tamponano a stento gli effetti stravolgenti dell’evaporazione del lavoro avvenuta a partire dal 1980: prima quello manuale si è trasferito nei Paesi a basso costo; poi è toccato a quello intellettuale, incorporata nelle memorie e nella capacità di calcolo dei sistemi Ict. Non c’è più distinzione sociale e politica tra blue e white collar: per questo i candidati democratici e repubblicani sono afasici.

Senza analizzare questa realtà economica e sociale, si guarda solo agli indicatori finanziari, e soprattutto allo stato di salute di Wall Street: è lì che si teme il tracollo del consenso, del sistema americano della democrazia rappresentata. Per questo è inutile analizzare il fotofinish del testa a testa in campo democratico, tra Hillary Clinton da una parte, la campionessa indiscutibile del titolo americano come migliore “ex” di tutti i tempi, first lady, senatrice, segretario di Stato, e Bernie Sanders dall’altra, l’outsider socialista del Vermont. Se l’establishment clintoniano, che riferisce a Washington, è ormai dato quasi per perso anche da Wall Street, l’outsider di Main Street avrà anche ricevuto molti i voti, ma non governa i media, né ha mezzi smisurati di finanziamento: è destinato inevitabilmente a logorarsi.

In campo repubblicano sono tutti outsider, da Donald Trump a Ted Cruz, fino a Marco Rubio: cercano di dar voce alla pancia degli americani, ma le loro ricette sembrano un digestivo preso a pancia vuota. L’America dei Reagan e dei Bush, per trent’anni concentrata sulla necessità di abbattere militarmente il Male assoluto dell’Unione Sovietica e poi il Grande satana del terrorismo jihadista, è un marchio invendibile. Ecco perché, mai come stavolta, le primarie americane saranno un tritacarne: il job-hopping è cominciato.



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