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Bolivia, ecco come (e perché) scricchiola la poltrona di Morales

Con il 72,5% dei voti scrutinati, il Tribunale elettorale supremo della Bolivia ha annunciato la prevalenza del No al referendum costituzionale di domenica con circa il 56,5%. Il sì, invece, viaggerebbe sul 43,2%. In caso questa tendenza fosse confermata, si tratterebbe della prima sconfitta elettorale in 10 anni per il presidente boliviano Evo Morales, al potere dal 2006.

FESTEGGIAMENTI PREMATURI

Gli exit poll di diverse tv locali indicano che più della metà degli elettori non vuole che Morales possa ricandidarsi alle elezioni presidenziali nel 2019. Il governo, invece, sostiene che ci si trovi di fronte a un “pareggio tecnico” e che bisognerà aspettare la dichiarazione ufficiale dei risultati finali. “Siamo di fronte ad un pareggio tecnico. La metà del popolo boliviano vuole una riforma costituzionale”, ha dichiarato in conferenza stampa il vicepresidente Álvaro García Linera. Il politico ha detto che i festeggiamenti dell’opposizione sono prematuri e i risultati “cambieranno in maniera drastica”, perché non si è tenuto conto del voto all’estero e di quello nelle comunità rurali.

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IL SILENZIO DI MORALES

Il presidente Morales, che ha sempre parlato a reti unificate al termine di ogni tornata elettorale, questa volta è stato in silenzio.

Secondo un’editoriale del quotidiano boliviano El Deber, Morales dovrà fare “i conti con un Paese diviso che ha detto ‘no’ a un discorso ufficiale logoro e a una campagna della paura che non ha dato buoni risultati”.

CAMPAGNA SBAGLIATA

Per il giornalista ed editorialista Javier Lafuente, “la scommessa di Morales ha soltanto diviso il Paese. Il presidente soffre di un calo di popolarità che non aveva mai avuto in 10 anni al potere”. Lafuente crede che a colpire l’immagine di Morales siano stati gli scandali di corruzione, una campagna elettorale per il “sì” che si è concentrata sugli attacchi e la vena contro l’imperialismo americano, a differenza del 2014, quando parlò d’integrazione. Secondo il giornalista, la principale sfida del governo in carica sarà trovare un successore di Morales, mentre l’opposizione dovrà evitare le divisioni interne.

DEBOLEZZA IDEOLOGICA

L’analista politico Yerko Ilijic sostiene che il risultato del referendum “segni la fine dell’egemonia di Evo Morales. La fine dell’ideologia del nazionalismo e dello Stato forte”. “Non convincono più – ha detto Ilijic al quotidiano Correo del Sur – il processo di cambiamento, la rivoluzione culturale né lui come la figura centrale di questa ideologia”. Inoltre, i risultati del referendum dimostrerebbero che Morales ha perso il controllo del territorio. “Quella che comincia oggi è la fine del ciclo di Evo Morales”, ha detto l’esperto.

PROGETTO SENZA LEADERSHIP

Invece, per il politologo Carlos Guzmán, i risultati del referendum costituzionale rappresentano una sfida soprattutto per l’opposizione: “Il Mas (il partito al governo, ndr) ha un progetto di Paese e un’agenda, ma adesso si trova senza leader. Sta attraversando una crisi interna di nuova leadership e soffre la decentralizzazione politica”. “È la prima volta che la Bolivia dice no al caudillismo”, ha aggiunto Guzmán.

VENT’ANNI AL POTERE?

Come ricorda il sito del canale tv sudamericano Telesur, nel referendum di domenica è stato chiesto ai boliviani se erano d’accordo a modificare l’articolo 168 della Costituzione per permettere la rielezione delle cariche di presidente e vicepresidente. Una riforma che permetterebbe la candidatura di Morales e del suo vice García Linera alle elezioni presidenziali del 2019. Morales è stato eletto nel 2006, ha promosso una nuova Costituzione nel 2009 e potrebbe prolungare la sua permanenza al potere fino al 2025.

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