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Ecco come la chiave inglese di Cameron aprirà l’Europa

Oggi e domani si svolge un Consiglio dei Capi di Stato e di Governo cruciale per il futuro dell’Unione Europea (UE). L’ordine del giorno è lungo ma tali e tante sono le questioni sul tavolo che è difficile prevederne l’esito: la pressioni esterne ed interne dei migranti e dei movimenti populistici, la chiusura di fatto di alcune frontiere che potrebbe preludere alla fine dell’accordo di Schengen, la stagnazione dell’economia reale (nonostante le vitamine monetarie fornite dalla Banca centrale europea), le fibrillazioni dei mercati specialmente sui titoli bancari europei, le richiesta (da parte di più Stati membri) d’interpretazioni flessibili del Trattato di Maastricht e del Fiscal Compact, la possibile uscita della Grecia dall’UE e la definizione di uno status “speciale” per la Gran Bretagna. In un contesto, poi, di guerra guerreggiata alle frontiere europee che secondo il segretario di Stato americano potrebbe essere l’inizio di una terza guerra mondiale e secondo la sua controparte russa quello di una nuova “guerra fredda”.

Soprattutto, non c’è un quadro chiaro delle alleanze, tra gli Stati dell’UE, e non si vede un minimo comun denominatore per un ‘compromesso- quadro ’ tale da trovare soluzioni (od inizi di soluzioni) su tutti questi temi. Ci vorrebbe una ‘chiave inglese’, il marchingegno per serrare i bulloni e consentire ad un auto con le ruote in panne di mettersi in condizioni di ripartire o pure per allentarli se sono troppo stretti ed impediscono il funzionamento di una protesi.

Paradossalmente, la “chiave inglese” potrebbe essere il testo del compromesso tra il premier britannico David Cameron e il presidente UE Donald Tusk. Già altri Stati dell’UE vogliono un trattamento analogo a quello previsto, nel compromesso, per la Gran Bretagna. Si tratterebbe di un’UE differente da quella sognata dai federalisti, ma lo stesso Manifesto di Ventotene preconizzava una federazione di Francia, Germania e pochi altri, essenzialmente per prevenire nuove guerre sulle due sponde del  Reno. Si tratterebbe di un’UE quasi confederale con i poteri della Commissione fortemente ridimensionati ma con maggiori responsabilità, e quindi flessibilità, dei singoli Stati e dei loro Parlamenti, che, a maggioranza qualificata, potrebbero modificare le normative UE. Ciò comporterebbe anche rivedere parametri e vincoli definiti un quarto di secolo fa per l’unione monetaria, sull’assunto che l’area dell’euro avrebbe avuto un tasso di crescita medio del 3% l’anno per il futuro a lungo termine.

Naturalmente, in questo caso, la “chiave inglese” servirebbe per allentare alcuni bulloni ma per serrarne altri. Quelli in particolare dell’unione monetaria (perché nessuno vuole tornare alle vecchie monete). Ciò comporta il completamente dell’unione bancaria con la garanzia comune sui depositi in conto corrente (ed una revisione del bail in) e una conferenza dei Capi di Stato e di Governo e dei Ministri dell’Economia e delle Finanze, nonché del Sistema Europeo di Banche Centrali (SEBC), per una ristrutturazione concordata del debito sovrano, al tempo stesso freno dell’economia reale e determinante delle tensioni sui mercati e sulle Borse.

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