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Cosa possono fare Europa e Stati per spegnere la speculazione contro le banche

Pier Carlo Padoan

Il sistema bancario sembra di nuovo nella tempesta su tutti i principali mercati. Pesano i timori di una nuova recessione economica, che appariva ancora ieri improbabile, ma che in Europa può arrivare da una nuova crisi del credito. Pesa soprattutto la bassa profittabilità di molte grandi banche: il calo dei tassi a lungo termine, causato dalle politiche espansive della Banca centrale europea, comprime il margine di guadagno. Aggravano la situazione i tassi d’interesse negativi sui depositi delle banche presso la Banca centrale europea, che le banche non osano trasferire sui depositanti per il timore di farli fuggire. La bassa profittabilità alimenta il timore di nuovi aumenti di capitale, dato che i livelli attuali del capitale di alcune grandi banche sembrano appena sufficienti a soddisfare i requisiti prudenziali, mentre non diminuisce la massa dei non performing loans e vi è il timore di perdite su estese posizioni in strumenti derivati.

Questo è il contesto nel quale sono entrate in vigore le nuove regole sugli aiuti di Stato alle banche (dall’estate del 2013) e sulla risoluzione delle banche in crisi (dal 1 gennaio 2016), le quali richiedono che, se una banca ha bisogno del sostegno dello stato, l’aiuto non può essere concesso senza prima cancellare il valore delle azioni, dei debiti subordinati e di altri debiti della banca per un valore pari almeno all’8 per cento delle passività totali della banca (bail in). Questa nuova regola è stata applicata, a partire dell’estate del 2013, non solo ai titoli di nuova emissione, ma anche ai titoli già in circolazione: per questi ultimi, dunque, le nuove linee-guida sugli aiuti di stato e la direttiva europea sulla risoluzione delle banche hanno cambiato le caratteristiche di rischio dei titoli bancari rispetto a quelle che i risparmiatori e gli investitori conoscevano al momento dell’investimento. Una decisone veramente discutibile, che ora sta pesando sull’andamento dei mercati finanziari.

Lo shock è stato particolarmente acuto in Italia, dove nel novembre scorso la Banca d’Italia ha messo in ‘risoluzione’ quattro piccole banche locali, che nel complesso rappresentavano solo l’1 per cento dei depositi bancari totali. Tutte le azioni e i junior bond di quelle banche sono stati cancellati, infliggendo perdite rilevanti a una platea di piccoli risparmiatori che spesso li avevano acquistati fidandosi dei consigli della loro banca. L’impatto sul mercato è stato molto forte, perché nella fase più acuta della crisi finanziaria molte banche italiane avevano emesso junior bond per ricapitalizzarsi. Pur essendo in massima parte quelle banche ben solide, i risparmiatori si sono spaventati e hanno incominciato a vendere quei titoli. In qualche caso, i depositanti sono corsi a ritirate i loro depositi. Pian piano, in un contesto di crescenti tensioni finanziarie internazionali, lo shock si è diffuso al di fuori del mercato italiano, investendo grandi banche come Deutsche Bank, Commerzbank, Credit Suisse, Standard Chartered e Barclays e innestando un fenomeno di contagio nel quale crollano tutti i titoli bancari.

Mi sembra vi siano pochi dubbi che stiamo assistendo a uno shock sistemico, nel quale ancora una volta – come già era successo nel 2010-12 per i titoli del debito sovrano dell’eurozona – un serio errore delle politiche europee ha destabilizzato i mercati finanziari. Come allora, i mercati non si calmeranno da soli, anzi vi è il rischio che l’instabilità si propaghi, fino a mettere in pericolo il sistema bancario nel suo insieme. Nel 2012 il salvataggio arrivò dalla Banca centrale europea, la quale con il suo nuovo strumento di intervento illimitato – Outright monetary transactions programme (OMT) – stabilizzò il mercato dei titoli sovrani. Oggi, l’intervento di stabilizzazione non può venire dalla Banca centrale europea, che già sta acquistando 60 miliardi di euro di titoli pubblici al mese, senza che ciò aiuti a stabilizzare i mercati bancari.

Quel che servirebbe è una dichiarazione pubblica e congiunta dei governi europei che le passività delle banche sono sicure; il messaggio sarebbe più chiaro se, come si fece nel 2008, i governi annunciassero una garanzia pubblica delle passività bancarie – naturalmente mettendo temporaneamente da parte le regole sugli aiuti di stato e, soprattutto, sospendendo la dannosa regola sul bail in dei creditori privati. Come nel 2008, dovrebbe di nuovo essere consentito alle banche di chiedere la garanzia dello stato per la ristrutturazione e cartolarizzazione dei prestiti non performing immobilizzati nei bilanci bancari – consentendone il trasferimento a una o più bad banks di sistema e permettendo gli aiuti di stato per ricapitalizzare quelle banche che non possano sostenere le relative perdite trovando i capitali sul mercato.

Il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Trattato di Lisbona) prevede esplicitamente, all’articolo 107, che la Commissione possa dichiarare “compatibili”, dunque legittimi, gli aiuti di stato necessari per fronteggiare eventi eccezionali o gravi turbamenti delle condizioni economiche. Il ricorso a quella norma permise nel 2008 di evitare il melt-down del sistema bancario e finanziario europeo. La Commissione farebbe bene ad abbandonare le rigidità ideologiche che le hanno impedito finora di vedere l’instabilità sistemica che si sta diffondendo e le gravi conseguenze che potrebbero derivare dall’applicazione cieca e insensata del principio del bail in.

Articolo tratto da FIRST Online

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