Un autorevole protagonista di questa stagione di riavvicinamento tra le Chiese Occidentali e Orientali ci ha senz’altro dato una mano a sostenere le nostre ragioni. Cirillo all’Avana ha preteso che nel documento che ratifica il nuovo percorso di sussidiarietà e di incontro dopo secoli di contrasti religiosi e valoriali fosse esplicitato che il matrimonio tra un uomo e una donna fosse ben evidentemente “salvato” dal pasticcio previsto dal testo sulle unioni civili.
Infatti il ddl Cirinnà coinvolge la struttura stessa della società italiana, puntando a modificarne radicalmente il tessuto civile consolidato dalla cultura e dalla storia di ogni tempo. Per questa ragione è indispensabile un ragionamento rigoroso, articolo per articolo: se l’articolo 5 è infatti assolutamente inaccettabile, non lo sono di meno gli articoli 2 e 3, che costruiscono di fatto un simil-matrimonio in contrasto con l’articolo 29 peraltro della nostra Costituzione.
Infatti nel secondo capo del testo “disciplina della convivenza” che regola le coppie di fatto e cioè le unioni stabili e affettive tra due persone di sesso diverso non ufficializzate con matrimonio, prevede alcuni diritti, visite in carcere, in ospedale, occuparsi del funerale, avere l’assegno di mantenimento in caso di rottura: riconfermando tutto ciò già previsto dalla giurisprudenza. La pensione di reversibilità è invece in aggiunta nel testo in discussione prevista per le unioni civili anche dello stesso sesso. E per le coppie eterosessuali di fatto invece niente: senza un testamento non c’è diritto di successione per chi non è unito da vincolo che sia sancito da un ufficiale pubblico.
Dunque di fronte ad una eredità il ddl in questione equipara i diritti di due uomini e due donne unite civilmente alle coppi eterosessuali sposate, escludendo così le coppie di fatto eterosessuali discriminandole. La verità è che così come stanno le norme stravolgenti del testo Cirinnà i nuovi diritti valgono solo per i gay e le coppie etero sono di serie B.