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Perché il dato sulla disoccupazione è un po’ deludente

La disoccupazione è risultata poco variata a dicembre, all’11,4% (in termini destagionalizzati) come il mese precedente (il dato di novembre è stato rivisto al rialzo di un decimo). Se si considera il secondo decimale, c’è stato in realtà un lieve aumento (il primo in sei mesi), da 11,35% a 11,42%. La disoccupazione resta comunque ai minimi da 3 anni.

Il tasso di disoccupazione nella fascia d’età 15-24 anni è invece calato ulteriormente, al 37,9% a dicembre dal 38% di novembre (rivisto in questo caso al ribasso). Sebbene si tratti di un valore ancora molto elevato in termini assoluti, è un nuovo minimo da oltre tre anni. Nel 2015, il calo del tasso di disoccupazione giovanile è stato più accentuato di quello totale (-2,5% contro -0,8% considerando la media annua), il che potrebbe segnalare che, anche grazie alle riforme, si sta riducendo il gap tra lavoratori giovani (e precari) e lavoratori più anziani (e più protetti).

Dopo il rimbalzo di novembre, gli occupati sono tornati a calare a dicembre (per il terzo degli ultimi quattro mesi), di 21 mila unità (-0,1% m/m). L’aspettativa era invece che lo scadere dei termini per godere in forma piena dell’esonero contributivo sulle nuove assunzioni a tempo indeterminato potesse aver favorito nell’ultimo mese dell’anno un aumento degli occupati. Peraltro, è da notare che il calo è dovuto agli occupati indipendenti (-54 mila unità dopo l’incoraggiante rimbalzo di +24 unità registrato il mese precedente), mentre gli occupati dipendenti sono saliti (+33 mila), e si è trattato quasi interamente di dipendenti permanenti (+31 mila unità). In altri termini, l’esonero contributivo sembra essere stato efficace, ma, a differenza che nei mesi precedenti, sembra aver favorito una ricomposizione dell’occupazione (a favore di quella permanente) anziché un aumento netto degli occupati.

Una pressione al rialzo sul tasso di disoccupazione è anche venuta dall’ulteriore contrazione del bacino di inattività: il numero degli inattivi è sceso di 19 mila unità (ovvero di un decimo come il mese precedente). Verosimilmente, il calo degli inattivi registrato negli ultimi mesi dell’anno può essere almeno in parte dovuto a un rientro dell’effetto-scoraggiamento ovvero alla maggiore speranza di trovare un impiego (esso a dicembre ha riguardato soprattutto maschi nella fascia d’età 25-34 anni).

In sintesi, il dato ha parzialmente deluso le attese, in quanto come detto era lecito attendersi nell’ultimo mese dell’anno un anticipo di assunzioni anche sulla scia dell’esaurirsi in forma piena degli incentivi fiscali. D’altra parte, il calo della disoccupazione era risultato più pronunciato delle attese nei cinque mesi precedenti. Probabilmente, ha pesato la maggiore incertezza sul ciclo, che ha spinto le imprese a una maggiore cautela. L’incertezza riguarda più lo scenario internazionale che non la domanda domestica, che rimane in ripresa (soprattutto per quel che concerne la spesa per consumi delle famiglie). Il permanere di tale incertezza, insieme a un possibile rientro dell’anticipo di assunzioni effettuato negli ultimi mesi del 2015 per godere dell’esonero contributivo, potrebbero causare qualche “contraccolpo” sui dati dei primi mesi del 2016.

Tuttavia, anche tenendo conto delle indicazioni sull’occupazione dalle indagini di fiducia di imprese e famiglie, riteniamo che il trend per il tasso di disoccupazione resti al ribasso: ci aspettiamo che il calo possa riprendere, verosimilmente non nei primi mesi del 2016 ma più avanti nel corso dell’anno. Stimiamo che per la media del 2016 il tasso di disoccupazione possa attestarsi attorno all’11% (ma un calo al di sotto di quella soglia è improbabile nel 1° semestre). Ciò ovviamente se sarà confermato il nostro scenario di (sia pur modesta) ripresa del ciclo, la cui evoluzione sarà più importante degli effetti delle misure governative nel determinare il sentiero per la disoccupazione.

A tal proposito, manteniamo la nostra previsione di un PIL in crescita di 1,2% nel 2016 (dallo 0,7% del 2015): è vero che di recente sono aumentati i rischi al ribasso per via della maggiore incertezza sullo scenario internazionale, tuttavia il recupero dell’export che si è verificata negli ultimi mesi del 2015 è di buon auspicio circa il fatto che la ripresa delle vendite verso i Paesi sviluppati possa compensare la debolezza verso i mercati emergenti. Anche l’andamento recente degli indici di fiducia (pur in calo per quanto riguarda le imprese, mentre il morale delle famiglie ha toccato un nuovo record) resta coerente con il nostro scenario di recupero congiunturale (a un ritmo di 0,3% t/t nel 2016, in linea con quanto visto nei primi 3 trimestri del 2015).



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