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Decreto Trasparenza, tutte le lacune secondo Riparte il futuro (Foia4Italy)

Di Federico Anghelé

Dietro la sigla FOIA (Freedom of Information Act) si nasconde un diritto fondamentale: quello dei cittadini ad accedere alle informazioni in possesso della Pubblica amministrazione. Un diritto riconosciuto in oltre 90 paesi del mondo ma non ancora in Italia. È quanto i rappresentanti di Foia4Italy, coalizione che raggruppa oltre 30 organizzazioni della società civile, hanno ribadito ai membri di governo e Parlamento che li hanno convocati per discutere del decreto in “materia di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle Pubbliche amministrazioni”. Nelle intenzioni, un Freedom of Information Act che è stato però molto criticato dagli addetti ai lavori e da chi si batte per rendere più trasparente la pubblica amministrazione.

Il testo, approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri il 20 gennaio, è il frutto di un lungo lavoro parlamentare e dell’impegno preso dal presidente del consiglio Renzi che, nel suo discorso di insediamento, aveva rubricato il Freedom of Information Act tra i provvedimenti da portare a casa nel corso della legislatura. Impegno più volte rilanciato dal ministro Madia e dal Parlamento che ha inserito il FOIA nella riforma della pubblica amministrazione, delineandone le principali caratteristiche ma delegando il governo a occuparsi della materia.

Per ora la montagna ha partorito il topolino: una volta reso pubblico (peraltro 3 settimane dopo la sua approvazione!), il testo del decreto ha fatto sobbalzare gli esperti. Perché, se approvato, segnerebbe un vistoso passo indietro rispetto alla legge 241/90, che oggi regola l’accesso dei cittadini ai documenti della pubblica amministrazione e che ha però un enorme limite: di consentire l’accesso solo a chi dimostri un interesse diretto, concreto e attuale alle informazioni richieste. Ciò si traduce, ad esempio, nell’impossibilità di un giornalista o di una Ong a richiedere con successo i dati sull’inquinamento prodotto dall’Ilva a Taranto o sulle performance di un certo ospedale.

Il Freedom of Information Act del governo di fatto non amplierebbe il diritto d’accesso perché moltiplicherebbe le eccezioni, cioè le tipologie di dati inaccessibili. Un esempio per tutti? Le informazioni riguardanti gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica. Escludendole tout-court si pregiudicherebbe la possibilità di rendere più simmetrico il mercato, magari rintracciando dati essenziali sui fornitori dell’amministrazione pubblica.

Ma a preoccupare  di più è l’impianto generale del provvedimento che pone l’accento sulle esigenze della pubblica amministrazione e non, come auspicato, su quelle del cittadino.

Esemplare il caso del silenzio-diniego. Infatti, la mancata risposta in trenta giorni a una richiesta di accesso va considerata come un rigetto da parte dell’amministrazione. Che non ha l’obbligo di giustificarsi. In questo modo il cittadino non potrà sapere se il mancato responso sia imputabile all’assenza del documento o, invece, sia dovuto a una (ma quale?) delle molteplici eccezioni. Di fronte al silenzio dell’amministrazione resterà un’unica strada per veder riconosciuto il proprio diritto: il ricorso alla giustizia amministrativa. Che ha però costi elevati (500 euro di contributo), prevede la consulenza di un avvocato e ha tempi tutt’altro che rapidi e certi. Per questo Foia4Italy ha suggerito la via stragiudiziale, coinvolgendo Anac (com’era previsto anche nella delega parlamentare), senza gravare sul portafoglio del cittadino e snellendo la procedura. Peraltro il decreto, introducendo il silenzio-diniego, non prevede sanzioni per le amministrazioni che dovessero rifiutarsi di fornire la documentazione richiesta.

In materia di costi, il provvedimento approvato dal governo non è affatto chiaro. I promotori di Foia4Italy credono che vada riaffermato quanto già previsto dalla 241/90: la completa gratuità dell’accesso, fatto salvo il rimborso di eventuali costi eccezionali, che dovranno essere adeguatamente motivati dall’amministrazione. L’era digitale consente di avere documenti facilmente accessibili a costo zero.

Ma il decreto non brilla neppure quanto a semplificazione: l’introduzione del cosiddetto FOIA manterrebbe immutata la 241/90, col rischio di duplicare le richieste di accesso e di creare confusione per il cittadino e per l’amministrazione stessa. Un ridisegno complessivo della materia sarebbe invece asuspicabile. D’altra parte, contravvenendo alle prescrizioni internazionali che parlano di obbligo di collaborazione da parte dell’amministrazione, la legge non prevede uno sportello unico cui rivolgersi per le richieste di accesso (per Foia4Italy dovrebbero essere indirizzate al responsabile della trasparenza) e per di più le domande di documentazione devono essere precise e circostanziate. In tal modo, si riduce l’impegno dei funzionari pubblici ma si lascia inevasa una questione: se un cittadino non sa precisamente in quale ufficio o faldone si trovi un documento, come fa a formulare una richiesta precisa?

A fronte di così tante lacune abbiamo accolto volentieri la convocazione da parte del governo di chi rappresenta la voce di 60.000 cittadini che hanno firmato una petizione online chiedendo, prima, l’introduzione del Freedom of Information Act in Italia e, poi, una profonda revisione del testo. Petizione che è ancora possibile sottoscrivere con l’augurio che all’aumentare della pressione da parte della società civile aumentino anche le probabilità di avere finalmente una legge per il diritto all’accesso che rispecchi gli standard internazionali. Abbiamo meno di tre mesi per farci sentire.

Federico Anghelé
campaigner, Riparte il futuro

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