235 cambi di casacca dei parlamentari in meno di due anni sono la cifra del trasformismo imperante nell’attuale Parlamento italiano. Un trasformismo coerente con quello che, a livello partitico, ha caratterizzato l’ascesa di Matteo Renzi nel Pd e la sua conquista per vie desuete della presidenza del Consiglio.
Cos’è oggi il Pd se non un ircocervo guidato da “un giovin signore” di origine destrorsa, lontano mille miglia dalle tradizioni fondanti di quel partito, abilissimo scalatore di un partito ormai esangue con la complicità di poteri forti interni e internazionali?
Con il voto sul disegno di legge Cirinnà si sta verificando la palese condizione della nostra grave crisi politico-istituzionale, caratterizzata da un parlamento di nominati, eletti da una legge, il “porcellum”, dichiarata incostituzionale e da un governo che, per la terza volta, è guidato da una personalità mai eletta, il quale, senza il contributo dei transumanti trasformisti al Senato, non avrebbe neppure la maggioranza.
Può dispiacere a qualcuno, ma non c’è dubbio che l’ultimo governo legittimo eletto dal popolo italiano è stato l’ultimo governo Berlusconi caduto, soprattutto, per i pesanti condizionamenti internazionali nel novembre del 2011.
Da quel momento abbiamo avuto, infatti, la palese dimostrazione della fine della sovranità popolare in Italia. Una sovranità che si tenta adesso di annullare, anche formalmente, con il combinato disposto della riforma costituzionale e della legge super truffa dell’Italicum che, di fatto, se approvato dal prossimo referendum, consegnerà a una minoranza del corpo elettorale il controllo di tutto il sistema politico e di potere in Italia.
La condizione nella quale è potuto accadere tutto ciò si collega da un lato al venir meno delle culture politiche che hanno fondato il patto costituzionale sancito nella Costituzione del 1947, dopo la crisi della prima repubblica (1948-1994) e la fine dei partiti; dall’altro alle profonde trasformazioni epocali geopolitiche e di assetto dei poteri a livello internazionale.
Quanto alla prima causa con la scomparsa del pentapartito e di quello che fu il Pci, costretto alla progressiva trasformazione in Pds, Ds sino all’unificazione con la Margherita nel Pd. Sulla scena politica italiana hanno fatto irruzione movimenti dai caratteri populistici e leaderistici, i quali, assai faticosamente hanno tentato e tentano di dar voce e rappresentanza a ceti e classi sociali sempre più allo sbando, con una partecipazione politica ridotta al lumicino, sino alla fuga dal voto che ha raggiunto e superato la soglia del 50% del corpo elettorale.
La crisi economica e finanziaria e la crisi politico-istituzionale che accompagnano una gravissima crisi della morale e dell’etica pubblica e privata, sono le concause della disaffezione, sino all’abbandono dell’esercizio di uno dei pochissimi strumenti della sovranità popolare che è l’espressione del proprio voto. Un’espressione resa in sostanza mutilata dal “porcellum” prima e ora dalla proposta dell’Italicum, considerato che gli elettori sono stati privati totalmente o in parte della preferenza nel voto dei candidati presenti nelle liste, i capi in testa delle quali sarebbero tutti designati dai capataz degli ectoplasmi partitici sopravvissuti.
L’incapacità da parte degli attuali partiti di offrire rappresentanza al ceto medio produttivo e di larga parte dei diversamente tutelati è una delle condizioni di maggiori rischio per la nostra democrazia.
Assai più complessa e grave è la situazione a livello internazionale, da cui discendono le principali conseguenze finanziarie, economiche e politico-istituzionali nei diversi Stati presenti sul pianeta.
Con il rovesciamento dei principi del Noma (Non Overlapping Magisteria) e il primato affidato alla finanza, che fissa gli obiettivi e l’economia e la politica ridotte a ruoli subalterni, larga parte delle decisioni che sono assunte, per quanto ci riguarda più direttamente, in sede europea e nazionale, derivano dagli obiettivi stabiliti dai gruppi finanziari dominanti.
Come ha ben sintetizzato Alberto Micalizzi nella recente riunione del comitato provvisorio per la sovranità popolare riunitosi a L’Aquila il 19 febbraio scorso per lanciare il progetto dell’Assemblea Costituente: “Non c’è più contrapposizione tra mondo della finanza e mondo della politica, esiste solo una grande cupola internazionale, non monolitica, ma stratificata; ci sono piccoli conventi in guerra tra di loro… Ora è in atto uno scontro grande tra le banche centrali e quelle commerciali. Si tratta di non pensare in modo ideologico e reattivo, ma di costruire un sistema che abbia regole diverse, sapendo, tuttavia, che ora siamo di fronte a un sistema difficilmente scomponibile, né contrattaccabile. Dobbiamo preoccuparci non di come uscire dall’euro o di come riprenderci la Banca d’Italia; non ci sono i margini per una classe politica che è un insieme di camerieri al servizio delle banche. Bisogna lavorare con calma e pacatezza a un progetto articolato che partendo dalla carta costituzionale dovrà andare “oltre, avendo consapevolezza che quei gruppi, pur di raggiungere i loro obiettivi, stanno facendo adottare ai governi affidati a servitori sciocchi e ossequienti politiche di attacco diretto ai patrimoni privati e pubblici”.
Esempi eclatanti in tale senso: il fiscal compact, figlio di un regolamento comunitario illegittimo, perché contrastante con i trattati europei, adottati da tecnocrati brussellesi con il colpevole consenso dei governanti europei di turno; lo stesso bail-in che stabilisce di far pagare ai correntisti depositanti, oltre agli azionisti e obbligazionisti; la paradossale situazione dei debiti bancari totalmente fuori controllo.
Anche le costituzioni rigide di più antica data o quelle stesse uscite dalle guerre di liberazione dal nazifascismo, come quella italiana, rappresentano un ostacolo ai loro progetti di dominio. Di qui la richiesta, ai fedeli esecutori degli ordini issati alla guida dei governi, di procedere senza indugio a trasformarle in docili strumenti manovrabili da minoranze subalterne, con il totale controllo dei mezzi di comunicazione indispensabili per il consenso.
È in questo clima di trasformismo e supina subalternità della classe politica asservita che l’antica distinzione tra destra e sinistra scompare in una funzionale melassa senza senso. Non è strano che in questa Babele dei linguaggi e nella scomparsa delle culture politiche si erga come gigante della difesa degli ultimi e predicatore di un’economia sostenibile sul piano della giustizia e della libertà Papa Francesco, con le sue straordinarie encicliche Evangelii Gaudium e Laudato Si’.
Ettore Bonalberti