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I diritti sono come l’amuchina

Peggio della morte c’è la malattia. Peggio della malattia c’è la solitudine. La rete, i viaggi, sono occasioni di incontri. E quindi di racconti. Le persone hanno voglia di comunicare, di mettere via i loro smartphone e tornare a parlare toccandosi con gli occhi.
Tu racconti e ti fai raccontare. Vengono fuori spaccati di solitudine. Avverti l’indurimento di chi, solo, ha bisogno di erigere una barriera davanti a sé per dimostrare a una società ridotta a laboratorio di diritti, di farcela da solo. L’autonomia.
Non sappiamo più essere comunità e, senza quella rete di legami e relazioni che renderebbe questa modernissima storia dei diritti un mero vezzo più che una necessità, viviamo privi di peso. Basta una piccola perturbazione che disturba la routine che ci lega alla vita, ed ecco che la nostra massa rischia di perdersi nell’infinito.
I diritti, in fin dei conti, riguardano come si entra e come si esce dalla vita. Il fatto che assumano così tanto importanza è dovuto al fatto che quello che non vale niente è tutto il percorso che ci sta in mezzo. I diritti sono l’amuchina di fronte all’odore del sangue, all’afrore che emana chi non sa trattenere più nulla. La musica classica che mette armonia quanto la testa si è smarrita. La fibra di carbonio che alleggerisce i passi di muscoli muti.
C’è chi pensa che finirla in punta di diritto passi per una spaghettata, una chiacchierata con gli amici di fronte a un lago a discutere di Marcuse dopo essersi sballati con la cocaina.
Purtroppo solo pochi sono rincorsi dalla letteratura, la maggior parte rincorre la vita. Ma se hai avuto la fortuna di avere degli amici, veri, sappi che se le cose dovessero veramente male, ci sarà sempre capo Bromden a metterti un cuscino sulla faccia.



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