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Ecco le start up che rendono più sexy la cultura

“Dobbiamo mostrare la contemporaneità di Mantegna o Raffaello”: così  parlò James Bradburne, britannico, direttore dal 2015 della Pinacoteca di Brera. Sulla stessa falsariga il tedesco Eike Schmidt, che adesso gestisce il Museo degli Uffizi (“l’arte non basta, servono manager”). Anche il ministro Franceschini sostiene che la valorizzazione della cultura debba fare rima l’innovazione. Sì, ma come?

Uno strumento per rendere più ricca l’esperienza culturale è rappresentato dai beacon. Spiega Alessio Cucini, ceo e fondatore dell’azienda toscana BlueUp, che si occupa di questo prodotto: “I beacon sono trasmettitori Bluetooth Low Energy (BLE), che inviano periodicamente un pacchetto radio, contenente un identificativo univoco. Uno smartphone nei pressi del beacon, con BLE attivo, può quindi ricevere il segnale e stimare il livello di prossimità e distanza da esso. Sulla base di questa informazione, l’app può erogare contenuti e informazioni all’utente, che diventano quindi context-aware, ovvero dipendenti dal contesto in cui si trova”.

I musei, da questo punto di vista rappresentano una applicazione immediata, perché, come racconta Cucini, “con i beacon è possibile sostituire le classiche audioguide, fornendo un’esperienza di fruizione più completa e interattiva. Quando il visitatore si trova davanti ad un’opera d’arte può fruire dei relativi contenuti tramite lo smartphone, in modo automatico, senza dover digitare un codice o inquadrare un QR code. Con i nostri partner, abbiamo effettuato diverse installazioni nei siti culturali, come il Museo dell’Opera del Duomo di Firenze, il Museo del Tessuto di Prato, la Pinacoteca di Faenza e le struttura della rete Musei Senesi”.

Un’azienda che sviluppa una tecnologia basata sui beacon è Nextome, una startup pugliese creata da Domenico Colucci, che nel 2015 ha vinto il premio come giovane imprenditore web dell’anno alla terza edizione di Europioneers 2015, un’iniziativa della Commissione europea. Nextome promuove un sistema di geo-localizzazione negli spazi chiusi, laddove non funziona il Gps e non è disponibile una connessione internet. Colucci dice che l’idea iniziale era proprio quella di contribuire all’innovazione del sistema dei beni culturali: “Originariamente siamo nati per lavorare nel campo dei musei, poi ci siamo “convertiti” ad altri ambiti. Il problema è che la maggior parte dei siti culturali è in mano ad enti pubblici, per cui è difficile lavorare coi tempi delle loro burocrazie. Due-tre anni di attesa per un appalto o una commessa significano morire, dal punto di vista di una startup. Così nell’ottobre del 2014 abbiamo deciso di andare a vedere come funzionavano le cose nella Silicon Valley, cercando di approfondire come il nostro business potesse essere percepito. Ovviamente il mercato in California è molto più pronto, per cui è stato più facile capire come la nostra tecnologia si potesse allargare”.

Il problema del settore pubblico è, come spesso accade, la lentezza e la farraginosità delle pratiche: “Quello privato è un terreno più fertile, perché ci sono minori vincoli burocratici, maggiore attenzione e maggiori investimenti. Noi lavoriamo con le fiere, come il Vinitaly di Verona, con il business del retail e anche con la grande distribuzione. Abbiamo fatto in modo che la nostra tecnologia fosse validata in vari campi, perché avevamo bisogno di un riscontro sempre più grande”.

La battaglia per l’innovazione nel mondo della cultura, però, non è persa in partenza. Colucci racconta che la sua azienda lavora con il Museo Diocesano di Bari ed è stata contattata dallo stesso Museo dell’Opera del Duomo di Firenze, “che è gestito dal Vaticano e ha una burocrazia più snella, perché procede per affidamenti diretti”. I beacon possono essere installati anche in edifici storici e permettono una localizzazione fatta con grande precisione ed accuratezza. “Non mettiamo infrastrutture aggiuntive, non siamo invasivi”, sottolinea Colucci. “Vogliamo utilizzare la tecnologia esistente, creando un percorso per le opere d’arte. La nostra app permette di integrare e geo-localizzare tutti i contenuti relativi al museo, che possono essere di varia natura, e le informazioni possono essere riutilizzate”.

Per valorizzare il patrimonio culturale italiano ed accrescerne i benefici economici, d’altronde, occorre allargare la gamma dei servizi offerti, ad oggi ancora limitati. Gli incassi derivanti dai biglietti rappresentano solo una parte delle entrate potenziali dei siti culturali. Il British Museum di Londra, per fare un esempio, non fa pagare l’ingresso alla propria collezione permanente, ma ottiene grandi ricavi grazie ai servizi che offre al pubblico “Pensate”, dice Domenico, “se chi frequenta un museo, davanti a un’opera d’arte, potesse approfondire la propria conoscenza con un video, anche pagando una cifra bassissima, come 50 centesimi di euro? O se gli venisse proposto di comprare dei gadget legati a quell’opera?”.

Qualcuno griderà all’orrore, di fronte ad una simile prospettiva, ma la valorizzazione del patrimonio è la strada maestra perché “con la cultura si possa mangiare”. Ci sono grandi potenzialità non solo per chi gestisce direttamente il patrimonio, ma anche per l’indotto, perché i contenuti in grado di arricchire l’esperienza culturale possono essere forniti da una vasta gamma di soggetti. Alle istituzioni, più che incentivi, gli startupper come Colucci chiedono opportunità: “Perché non superate i vincoli burocratici e ci affidate progetti nei musei? Tanti reparti del settore pubblico avrebbero bisogno di una tecnologia che serve a localizzare i documenti. Le biblioteche, ad esempio”.

Un’altra chiave per rendere ancora più attraente l’esperienza culturale è quella del gioco: con il concetto di gamification si intende proprio l’utilizzo di dinamiche ludiche all’interno di un contesto diverso da quello abituale. L’obiettivo è quello di stimolare le motivazioni delle persone, di coinvolgerle sempre di più, creando un’esperienza superiore alla norma (engagement).

Non serve avere letto manuali di psicologia comportamentale: il gioco è uno strumento essenziale per “fidelizzare” il proprio pubblico ed eventualmente allargarlo. Fabio Viola, della piattaforma Tuo Museo, dopo avere vinto un bando di Fondazione Cariplo, sta lavorando a trasferire l’engagement e il gamification all’interno dei musei, in modo da creare un collegamento tra il pubblico e il gestore. Si tratta di portare a scoprire, in maniera digitale, il patrimonio artistico, attraverso il gioco. “Abbiamo inserito nella piattaforma tutti i luoghi culturali della Lombardia”, racconta Fabio. “Il pubblico partecipa in maniera attiva, interagisce, arriva in maniera ludica a conoscere tutta una serie di informazioni, a scoprire le recensioni delle opere, a scegliere tra una serie di prodotti e di esperienze. Anche l’impatto sul turismo è evidente”.

Il settore dei beni culturali si è mostrato alieno a queste dinamiche, che invece hanno grandi potenzialità, molte delle quali inesplorate. “Il mondo della cultura, che è largamente in mano allo Stato, non ha sviluppato logiche di coinvolgimento del pubblico”, chiosa Viola. “A chi gestisce un museo, fino ad oggi, non è importato molto valutare l’esperienza del visitatore, stimolarlo a ritornare e a spendere nuovo denaro. Altrove, penso agli Stati Uniti, è essenziale l’engagement del pubblico, l’arricchimento dell’esperienza  culturale, perché il visitatore possa essere spinto a fare acquisti al bookshop, partecipare agli eventi del museo e diventarne, eventualmente, un donatore. Ora, invece, anche qui, oltre che sull’audience development, si sta cominciando a ragionare sull’audience engagement, in sostanza su come coinvolgere maggiormente il pubblico per convincerlo a ripetere l’esperienza”.



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