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Ecco le 3 incognite che intristicono i mercati

yellen

Con il difficile inizio dell’anno per i mercati azionari e creditizi, le obbligazioni a 10 anni USA si sono dimostrate (ancora una volta) l’asset migliore in cui investire. I mercati azionari europei hanno, invece, sottoperformato i mercati USA, con il settore automotive, banks e insurance in fanalino di coda. La fiducia degli investitori appare compromessa e gli atteggiamenti pessimisti sono diventati ormai consensuali. Nonostante i mercati finanziari siano stati più o meno stabili nel corso delle ultime due settimane, il titolo del nostro scenario macro-economico pubblicato a gennaio sembra ancor più pertinente.

La stabilizzazione del prezzo del petrolio è una condizione necessaria per ripristinare la fiducia degli investitori sugli asset più rischiosi. Questa è la terza volta dagli anni’70 in cui si è verificata una correzione di oltre il 50% del prezzo del petrolio senza essere preceduta da una recessione globale. Questi crolli sono sempre avvenuti dopo un significativo apprezzamento del dollaro, con conseguente aumento dei timori sui rischi di default nel settore energetico, stress sul mercato del credito e panico sulla crescita americana.

Il secondo fattore che pesa sulla fiducia degli investitori è l’assenza di chiarezza nelle azioni delle banche centrali. Eravamo abituati a non capire le decisioni della PBoC, ma oggi anche la BoJ puo’ essere fonte di sorpresa procedendo con un taglio dei tassi inaspettato, così come la BCE, che annuncerà nuove misure dopo aver deluso i mercati a dicembre, e la Fed, la cui comunicazione risente dell’elevato numero di parametri che l’FOMC sta analizzando. Dopo anni di QE, i mercati sono “drogati” e sono riluttanti ad iniziare un periodo di disintossicazione, soprattutto perché non si fidano più dei loro medici.

Tutto questo si è tradotto in una maggiore volatilità del mercato valutario e in una grande divergenza tra le aspettative dei mercati e i piani delle banche centrali. Per quanto concerne la Fed,non riteniamo più plausibile un rialzo dei tassi a marzo vista la mancanza di tempo per permettere un recupero delle condizioni finanziarie e degli indicatori principali. Siamo comunque inclini a pensare che questo mancato rialzo sarà unicamente una pausa nello scenario della Fed, che dovrebbe procedere con almeno due rialzi entro fine anno. Un’opinione ben diversa rispetto a quella del mercato che non si aspetta nessun rialzo sull’anno in corso, una view a nostro parere eccessiva. Non vi sono, invece, elevate aspettative sul comunicato della BCE. Una sorpresa positiva da parte di Draghi potrebbe calmare le pressioni rialziste sull’euro e rassicurare i mercati creditizi.

L’ultimo elemento da considerare per gli investitori è la divergenza insostenibile tra il comparto manifatturiero in contrazione e quello relativo ai servizi domestici in rialzo. Come abbiamo sostenuto dallo scorso ottobre, l’attuale consensus ottimista sulla crescita in zona Euro e nei paesi sviluppati non è compatibile con una recessione di lungo corso del settore manifatturiero, anche se la fase di de-stocking è stata, in particolare negli Stati Uniti, più lunga del previsto. Ciò non implica che la preferenza, ormai consensuale, sugli asset domestici dei paesi sviluppati sia giunta ad una conclusione, ma gli investitorihanno bisogno di vedere qualche notizia migliore proveniente dagli indicatori Manufacturing ISM e China industrial per alleviare le loro preoccupazioni sullo shock deflazionistico corrente.

Per concludere, il calo delle aspettative inflazionistiche globali a lungo termine, che ha avuto inizionel 2009, non è ancora giunto ad una conclusione e la crescita secolare del mercato globale obbligazionario, che ha avuto inizio nel 1982, è ancora in corso. A nostro avviso, la grande stagnazione(una fase di lungo corso con bassa crescita e bassa inflazione), che ha avuto inizio nel 2002, è tutt’altro che finita e l’inflazione globale rimarrà bassa per i prossimi 5 anni. In ogni caso, nel breve termine, una stabilizzazione del prezzo del petrolio, una maggiore coerenza nelle azioni delle banche centrali e un miglioramento dei leading indicators sono necessari per ridurre i timori deflazionistici.


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