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Emergenza in Sicilia: gli hotspot e il modello turistico

Oscar Farinetti è a Catania in occasione del premio Best in Sicily 2016. L’evento è l’occasione per parlare di economia e sviluppo. Per fare politica. Si è parlato di olio, per il quale la Sicilia è numero uno quanto a cultivar. Per il quale occorre però capire come difendersi dalle minacce che vengono dall’Europa che legifera il Trattato di Libero Scambio.
E si parla di Eataly. Oscar tuona: – Aprirò a Catania tra due anni. Sono innamorato di Etna – . E poi la stoccata ai siciliani: – Copiare è un gesto di umiltà. Andate in Romagna dove hanno il doppio dei turisti che vengono da voi e poi ritornate -. Ecco.
L’altra settimana, per vedermela tutta questa Italia, a San Benedetto del Tronto ci sono voluto andare in treno. Con un bell’intercity – vintage – che tra Bologna e San Benedetto del Tronto di fermate ne fa dodici, come le uova. E non appena il treno ha lasciato l’Emilia per buttarsi in Romagna, costeggiando il mare fermandosi ogni dieci minuti a Rimini, Riccione e Cattolica, davanti al mio finestrino, è stato tutto un comparire di nomi di hotel, di alluminio anodizzato e di gusci vuoti per la maggior parte dell’anno. Alveari abbandonati con la più orribile delle estetiche.
Secondo Oscar – ahinoi lo diceva pure Cetto Laqualunque nei suoi surreali comizi ai calabresi – la Romagna ha capito cosa fa girare l’economia.
Il fatto vero, a prendere in mano i dati dell’Enit (http://www.enit.it/it/studi.html), l’ente del Turismo che la Christillin dovrebbe rendere meno inutile, è che nel 2014 i dati degli arrivi di turisti stranieri fotografano una situazione in cui l’Emilia Romagna non fa poi così tanto di più della Sicilia. E la Sicilia è la Sicilia, appunto. Dove non piglia neanche il cellulare perché le compagnie telefoniche – tutte – non riescono proprio a metterle due antenne in più. Dove, per fare due strade, ci vogliono perfino i soldi dei politici che se li devono togliere di bocca. Non funziona neanche il giochino delle tangenti come in tutti gli altri posti d’Italia per fare le cose. Dove la ferrovia è inutilizzabile. Dove l’Alitalia pratica delle tariffe che farebbero paura perfino agli emiri. E qui è chiaro l’obiettivo. Siccome per mandarli via – i Saraceni – fu cosa complicata, ora se ne scoraggia il ritorno a mezzo biglietto aereo.
Certo, il numero di turisti in Sicilia è bassissimo. Il 10% di quello che si potrebbe ottenere se fossimo spacchiosi non solo a parole.
La Sicilia, gentile Oscar, non è, per fortuna sua, un territorio modesto come quello romagnolo. E sarebbe un errore copiare un modello di turismo rinnegando l’idea del bello. Sacrificando la bellezza intrinseca del paesaggio in nome dell’economicità.
La Sicilia deve incrementare il turismo – questo è ovvio – ma rispettando quello che va sotto il nome di “terzo paesaggio”. Che, per cavarsela con una battuta, è il territorio lasciato alla sua stessa cura. C’è proprio poco da fare in Sicilia. Bisogna costruire poco, limitarsi a sistemare l’esistente e continuare a promuovere il proliferare di strutture ricettive di piccola dimensione: dammusi, piccole strutture diffuse. La parola d’ordine deve essere conservare, conservare, conservare.
Occorre invece concentrare le azioni, in particolare della pubblica amministrazione e quindi della politica, sui trasporti e sulla promozione del territorio. Promuovendo l’isola sui vettori che fanno veramente il turismo in Sicilia che sono le compagnie Low cost come Easyjet e Ryanair e non sull’Alitalia dove invece la Regione Sicilia continua a fare delle assurde campagne pubblicitarie.
E poi, a maggior ragione adesso, è sempre più urgente una campagna d’informazione e di comunicazione istituzionale su come la Sicilia è in grado di gestire l’emergenza dei profughi. La campagna deve mettere in evidenza come la Sicilia, che non ha certamente il calvinismo spruzzato di amuchina dei Danesi e degli Svedesi, che ha dalla sua la forza tellurica di Etna e del Cristo flagellato alla Colonna di Ispica, che sa raccogliere tutta l’energia del sole dentro gli acini di Marsala, è capace di caricarsi sulle spalle della sua solidarietà l’onda anomala della Storia. Di come le strutture di riconoscimento – i famigerati hotspot – sono amministrati coniugando efficacia a umanità. Come la Sicilia, in ragione della sua identità, sappia offrirsi a quelle facce con la faccia del Cristo martoriato che è quella del dolore e della sofferenza universale.
E deve aprirsi nella comunicazione prima possibile. Perché la primavera stagione in cui si prenotano le ferie estive è alle porte. Perché è urgente disinnescare la minaccia più grande. Il fatto che i turisti di ogni dove, digitando sul motore di ricerca le più belle località dell’isola e trovandole associate nei links che il motore di ricerca restituisce alle parole emergenza, migranti, hotspot, decidano di cambiare meta delle proprie vacanze.

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