La buona notizia è che il saldo commerciale italiano continua a migliorare. Quella meno buona è che la salute dei nostri conti dipende in larga parte dai ribassi del petrolio, mentre continua la nostra robusta crescita delle importazioni. Ciò significa che siamo esposti a rischio rialzi petrolio che in poco tempo potrebbe prosciugare i nostri attivi.
Per osservare questa interessante evoluzione della nostra bilancia commerciale bisogna incrociare i dati dal 2013, quando il petrolio quotava fra i 90 e poco più di 100 dollari al barile, con quelli del 2015, quando è gradualmente sceso dai 50-60 dollari a poco più di 30. L’effetto sui nostri conti commerciali è visibile osservando innanzitutto i conti del commercio estero con i paesi extra Ue – dove si concentra la nostra bolletta energetica – nei due anni e, successivamente osservare tutta la bilancia commerciale, sempre nei due anni considerati.
L’occasione per il confronto ce la offre l’ultima release dell’Istat uscita pochi giorni fa, dove si danno i numeri del commercio estero extra Ue nel periodo gennaio-dicembre 2015. Il saldo è ampiamente positivo, con un surplus di 33,658 miliardi. Se guardiamo i dati del surplus nello stesso periodo del 2013 osserviamo che quell’anno il saldo superava di poco i 20 miliardi di attivo. Quindi in due anni il nostro commercio extra Ue ha visto crescere il surplus di circa il 65%. Che è sicuramente una buona notizia.
Un po’ meno se osserviamo che nello stesso periodo il petrolio è calato di oltre la metà. L’effetto sui conti commerciali extra Ue si può osservare sul deficit energetico. Nel 2013 i dodici mesi hanno cumulato un saldo negativo di oltre 50 miliardi, mentre nel 2015 tale saldo è stato di poco superiore a 30: un risparmio di 20 miliardi. Ciò significa che l’andamento dell’energia, a noi favorevole (pure se esportiamo prodotti energetici), ha consentito di tagliare il deficit energetico di circa il 40%.
Il dato assoluto, tuttavia, ne nasconde un altro. Se prendiamo lo stesso saldo al netto dell’effetto energia, osserviamo che nel 2013 il saldo sarebbe stato positivo per oltre 70 miliardi. Se facciamo la stessa operazione nel 2015, vediamo che il saldo rimane positivo per poco più di 64 miliardi. Ciò significa che le importazioni sono notevolmente cresciute in tutti gli altri settori. “Al netto dell’energia, l’incremento delle importazioni (+10,2%) è pari a oltre il doppio di quello delle esportazioni (+4,5%). In particolare – spiega Istat – la crescita dell’import è molto sostenuta per i beni di consumo durevoli (+16,4%) e i beni strumentali (+15,3%)”. E’ ragionevole ipotizzare, quindi, che una buona parte degli incrementi di reddito che gli italiani hanno avuto fra il 2014 e il 2015 sia stata spesa in beni esteri.
Il problema è che questa crescita rigogliosa delle importazioni, che procede a questi tassi già dal 2014, non viene bilanciata da quella delle esportazioni.
Se dallo spaccato extra Ue guardiamo all’intera bilancia commerciale, il dato cambia poco. Poiché il dato di dicembre non è ancora disponibile, ho confrontato quello del periodo gennaio-novembre 2013 con lo stesso del 2015. Emerge che nel 2013, nei mesi cumulati, la nostra bilancia energetica mostrava un deficit di oltre 50 miliardi, sostanzialmente in linea con quello extra Ue dell’intero anno, con un surplus, al netto di questa componente di poco più di 26 miliardi. Nello stesso periodo del 2015 il deficit della bilancia energetica è sceso a 31 miliardi, anche qui più o meno in linea con quello extra Ue dell’anno, mentre il surplus superava i 39 miliardi. Ma se guardiamo il saldo al lordo della componente energetica osserviamo che a novembre 2013 era di 76 miliardi a fronte dei 70 del 2015. Quindi abbiamo avuto un aumento strutturale delle importazioni a fronte di una diminuzione congiunturale della spesa energetica. Se nel 2015 avessimo pagato la stessa bolletta energetica del 2013, il nostro saldo sarebbe stato quasi di venti miliardi più basso.
Detto in soldoni: importiamo di più ma spendiamo di meno, almeno finché dura il ribasso del petrolio. Ciò fa apparire i nostri conti commerciali buoni. Ma la loro composizione suggerisce che sarebbe poco saggio farci affidamento.
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