Ho letto su Formiche.net la bozza di programma dei pentastellati per Palazzo Chigi firmata da Vito Crimi. Non so se il senatore sarà d’accordo, ma mi pare che l’asse culturale del suo testo ruoti attorno all’idea di gettare un ponte tra la tradizione liberale di promozione dei meriti (garantita dal mercato) e la tradizione democratico-radicale di tutela dei bisogni (garantita dall’intervento pubblico). Legalità e onestà, liberalizzazioni e reddito di cittadinanza, insomma.
Niente di sconvolgente, sia chiaro. Sebbene in un tempo e in un contesto profondamente diversi, lo stesso problema se lo era posto John Rawls già nella seconda metà del secolo scorso. Di fronte ai primi segni di cedimento dell’economia del benessere, il filosofo americano aveva tentato di offrire più solide giustificazioni teoriche alle politiche redistributive. Ma non è questo il luogo per discutere il pensiero del professore di Harvard.
Una questione merita tuttavia un cenno. Eguaglianza ed efficienza sono certamente valori non incompatibili, ma talvolta possono confliggere. Ad esempio, non si può distribuire cibo a chi è vittima di una carestia e a chi digiuna per motivi religiosi, al fine di parificare la loro condizione. Né si possono assegnare le medesime risorse a un malato e a un sano che apprezzano i medesimi beni, in quanto le loro abilità sono diverse.
Il giudizio di arbitraggio, allora, non può che essere politico. Non è la scoperta dell’ombrello. Anche il documento di Crimi (silloge di ottime intenzioni), infatti, è affetto dal medesimo vizietto che viene di solito imputato alla sinistra: quell’ecumenismo progettuale per cui si vuole una società che sia insieme libera e giusta, meritocratica ed equa, solidale ed efficiente. Tutto ciò è edificante ma scarsamente credibile.
Perché quando un movimento (o un partito) è tutto etica, è tutto fini e niente mezzi, si espone ineluttabilmente a qualche guaio. È sempre facile schierarsi in difesa dei deboli e delle piccole imprese, dell’occupazione e del salario, dei diritti sociali e della buona amministrazione. Il problema è che in Italia tale difesa si è spesso rovesciata nel suo opposto: nel corporativismo, nel burocratismo, nell’assistenzialismo clientelare. Un movimento (o un partito) che sappia il fatto suo, quindi, è quello che affronta sul serio la conversione dell’ideale nel reale, il calcolo dei mezzi e la strumentazione dei fini. Del resto, il riformismo si identifica in ultima analisi con l’etica weberiana della responsabilità, che è l’etica politica per eccellenza, la quale misura i propri valori sui risultati e sulle conseguenze delle scelte di governo.
Ps. Può darsi che tutto abbia un prezzo, perfino la libertà di coscienza. Ma, soprattutto in un periodo di bassissima inflazione, farla pagare centocinquantamila euro mi sembra eccessivo.