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Unicredit, Intesa Sanpaolo, Monte Paschi. Come e perché vendono i titoli di Stato

Draghi, Bce, vigilanza

Le banche italiane stanno riducendo l’esposizione verso i titoli di Stato domestici e stanno aumentando quella verso bond esteri, in vista di strette regolamentari che potrebbero essere introdotte su pressione della Germania e di altri Paesi del Nord Europa. A fine settembre gli istituti italiani avevano bond del Tesoro per 374 miliardi, cioè 9 miliardi in meno rispetto a fine 2014, secondo i dati della Banca d’Italia.

COME SI MUOVONO LE BANCHE ITALIANE

Ma la tendenza potrebbe essere proseguita nei mesi successivi. Intesa Sanpaolo ha già detto di aver dimezzato l’esposizione su Bot e Btp (da 60 a 30 miliardi) tra fine 2014 e fine 2015. Altre banche potrebbero essersi mosse. A fronte della vendita di titoli italiani, gli istituti stanno acquistando bond di altri Paesi. Nel caso di Intesa, la banca ha ridotto il peso dell’esposizione verso l’Italia dal 93% al 50% dei titoli di Stato detenuti. Nel complesso nei nove mesi del 2015 i gruppi italiani hanno acquistato 13 miliardi di titoli spagnoli, 6 miliardi di titoli francesi e 5 miliardi di titoli tedeschi. Questo comportamento non si spiega con ragioni di convenienza economica: «Vi assicuro che vendere titoli italiani con buoni rendimenti e acquistare titoli olandesi con rendimenti negativi non è divertente», ha osservato al Forex Stefano Del Punta, cfo di Intesa. Secondo il banchiere, fino a quando non ci sarà la Capital Market Union «non ci sono strumenti alternativi ai governativi» per le tesorerie degli istituti.

IL DOSSIER BOND

Di conseguenza le banche avranno meno profitti e il Tesoro rischia un aumento dei costi di finanziamento, nel caso la quota di titoli non più acquistata dai gruppi italiani non sia rilevata da istituti esteri (soggetti alle stesse pressioni regolamentari). In effetti in tutta l’Eurozona si è osservato lo stesso fenomeno: le banche dell’area hanno ceduto 32 miliardi di titoli del Paese di appartenenza nei nove mesi del 2015. La crisi del debito sovrano ha mostrato tuttavia che gli istituti esteri potrebbero avere pochi scrupoli a cedere titoli di un altro Paese in caso di difficoltà. Per il momento non ci sono stati effetti sui tassi di Bot e Btp, rimasti su livelli molto bassi, grazie anche all’effetto stabilizzante degli acquisti della Bce nel programma di quantitative easing. Alcune banche, anche in caso di taglio dell’esposizione, potrebbero aver deciso di allungare le scadenze sui bond italiani.

LE MISURE IN ARRIVO

Da tempo si susseguono voci su novità regolamentari sui titoli di Stato detenuti dalle banche. Le pressioni in tal senso arrivano soprattutto dalla Germania. Il governo tedesco e la Bundesbank sono convinti che una stretta servirebbe per ridurre il legame tra Stati e istituti di credito (una teoria peraltro non condivisa da molti). Perciò Berlino chiede un tetto all’esposizione verso un singolo Stato (pari al 25% del capitale) e la definizione di requisiti di capitale a protezione di un eventuale default pubblico (in altri termini, l’addio al rischio zero). In questa materia la Bce si è divisa. Danièle Nouy e Sabine Lautenschlaeger, presidente e vicepresidente del consiglio di vigilanza, sono favorevoli a entrambe le proposte. Invece Vìtor Constancio, vicepresidente della Bce, ha aperto all’ipotesi di requisiti patrimoniali, ma si è detto fortemente contrario al limite del 25%, che produrrebbe vendite di bond da parte delle banche per 1.600 miliardi oppure aumenti di capitale per 6 mila miliardi. Il presidente Mario Draghi ha sottolineato che è necessario trovare una soluzione a livello globale (ci sta lavorando il Comitato di Basilea) e quindi non solo europeo.

LA SPINTA DELLA GERMANIA

Ma Berlino non molla e spinge anche per una soluzione Ue: la stretta sui bond sovrani è diventata ormai una condizione necessaria per ulteriori progressi nell’Unione bancaria, a cominciare dalla garanzia comune europea sui depositi bancari. La Germania non vuole contribuire al salvataggio di banche in dissesto di altri Stati (dopo aver versato 250 miliardi in quelle domestiche), a maggior ragione se gli istituti esteri hanno molto debito pubblico nei bilanci. «Prima di procedere a nuove fasi di mutualizzazione, occorre ridurre i rischi bancari», ha detto più volte il ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schaeuble. Jeroen Dijsselbloem, ministro olandese e presidente dell’Eurogruppo, a dicembre era stato ancora più esplicito: «Se vogliamo un sistema unico di garanzia dei depositi, prima devono essere ridotti i rischi bancari. Tra questi uno dei maggiori è l’alta concentrazione di debito sovrano nei bilanci di molte banche».

I PASSI DELLA COMMISSIONE EUROPEA

Non a caso la Commissione Ue ha pubblicato lo scorso 24 novembre, assieme alle proposte per la protezione comune dei conti correnti, anche una comunicazione che apre la strada a modifiche nelle regole bancarie sui titoli di Stato. «L’adeguatezza del trattamento prudenziale delle esposizioni delle banche al rischio sovrano dovrebbe essere riconsiderato», sottolinea la comunicazione di Bruxelles. «La Commissione presenterà le proposte necessarie per il trattamento prudenziale dei sovrani», considerando le analisi «in preparazione presso il Comitato di Basilea e con particolare attenzione agli aspetti di stabilità finanziaria».

(Pubblichiamo questo articolo uscito sul quotidiano MF/Milano Finanza diretto da Pierluigi Magnaschi grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori)


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