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La “lezione” del Portogallo sulla stepchild adoption

Tutti i Paesi d’Europa che hanno introdotto le “nozze gay”, cioè in vario modo equiparato le convivenze, anche quelle di coppie same-sex, al matrimonio, hanno alla fine consentito la «stepchild adoption», cioè l’adozione del figliastro da parte del partner gay di un ex genitore biologico, poi diventato omosessuale. Dopo il voto di mercoledì scorso in Portogallo è rimasta solo la Grecia a negare (almeno per ora) la c.d. “adozione co-parentale” (cioè la «stepchild adoption»).

DANIMARCA, DALLA CADUTA DEL MURO, ALLE UNIONI GAY

La Danimarca, la prima nazione europea ad aver introdotto le “nozze gay”, a neanche Muro di Berlino abbattuto (l’ha fatto con le «unioni registrate» del 1989), legalizzando per prima le unioni tra persone dello stesso sesso, è poco dopo passata a consentire l’adozione ai single e, infine, ha “finalizzato” il tutto estendendola alle coppie dello stesso sesso “riconosciute” dallo Stato. Nel 2006, quindi, i danesi hanno esteso anche l’accesso alla fecondazione artificiale eterologa alle donne lesbiche, sia single che in coppia. L’ultimo passaggio nel 2010, con la possibilità anche dell’adozione congiunta, cioè quella classica (non più solo del figliastro), per le «unioni registrate», comprese quelle omosessuali.

GERMANIA, IL GAY-FRIENDLY PER VIA GIUDIZIARIA

In Germania all’analogo esito delle adozioni di bambini a coppie gay si è arrivati per via giudiziaria. Nel 2001 furono approvate le “unioni civili”, senza prevedere una totale equiparazione al matrimonio. Nel 2004 ai partners delle “convivenze registrate” sono stati quindi attribuiti altri diritti e doveri (quasi tutti) propri dei coniugi, compresa la possibilità della «stepchild adoption». Nel 2013 la Corte costituzionale ha poi dichiarato illegittima l’esclusione del figlio adottivo dall’adozione del figliastro (in Germania l’adozione è permessa ai single) e, sulla sua scia, la Consulta austriaca ha dichiarato incostituzionale (nel gennaio 2015) il divieto di adozione congiunta per i gay.

I DIECI ANNI DELLE “CIVIL PARTNERSHIP” BRITANNICHE

Il riconoscimento delle coppie gay nel Regno Unito è arrivato oltre dieci anni fa con le «civil partnership» (analoghe alle Unioni civili) del 2005 poi trasformate in “matrimonio egualitario” nel 2013. Ma le adozioni gay esistevano da prima, perché introdotte fin dal 2002.

FRANCIA: PRIMA FIGLI AI SINGLE, POI ADOZIONI GAY

In Francia il riconoscimento delle unioni gay è arrivato prima della possibilità di adottare, con i Pacs del 1999. Per il via libera alle adozioni da parte delle coppie omosessuali c’è voluta una lunga battaglia legale che l’ha fatta introdurre grazie anche all’intervento della Corte europea dei diritti umani (Cedu) che, nel 2008, ha concesso di adottare a una donna lesbica francese. Poi nel 2013 il matrimonio “per tutti” voluto dalla (oggi “dimissionata”) ministra Taubira ha aperto anche all’adozione congiunta per le coppie gay e a quella co-parentale.

PORTOGALLO: ULTIMO ARRIVATO UE CON ADOZIONE GAY

Mercoledì scorso c’è stato il via libera in Portogallo alle adozioni per le coppie omosessuali, con il voto del Parlamento di revoca del veto precedentemente apposto dal presidente della Repubblica Aníbal Cavaco Silva sulla legge che legalizzava appunto stepchild adoption e adozioni congiunte per i gay. La legge, che ha ottenuto i 137 voti a favore quasi esclusivamente da parte di esponenti dei partiti delle sinistre di vario colore, dal “Bloco de esquerda” al partito socialista, dal Partito comunista portoghese ai Verdi ed al “Pan” (quelli necessari a superare il veto presidenziale erano minimo 116), impone ore al Capo dello Stato di firmare entro otto giorni la legge votata a novembre che legalizza le adozioni gay (sia la congiunta che la «stepchild adoption»). Un iter opposto a quello della vicina Spagna, dove alcune regioni autonome riconoscevano coppie e genitori gay già negli anni 1990 e dove con le nozze gay sono arrivate anche adozioni congiunte, «stepchild» e, per le coppie lesbiche, l’accesso all’eterologa.

Il Portogallo, pur avendo riconosciuto i “matrimoni” gay nel 2010, aveva escluso qualsiasi possibilità di adottare alle coppie dello stesso sesso. Come si vede, una volta aperta la “breccia” della equiparazione delle convivenze al matrimonio, per tutto il resto è solo questione di tempo.

IL VETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ANNULLATO

Dopo la decisione di mercoledì a Lisbona, è iniziata l’opera mediatica di demonizzazione del presidente portoghese, improvvisamente divenuto «un conservatore». Cavaco Silva, in realtà, è sempre stato un riformista e socialdemocratico, eletto presidente del Partito Social Democratico portoghese (PSD) fin dal 1985. Economista e docente con formazione ed incarichi di prestigio internazionale, è sposato dal 1963 con Maria Alves da Silva ed ha due figli, Bruno e Patricia Maria. Primo Ministro dal 1985 al 1995, all’inizio del 2006 è stato eletto Presidente della Repubblica ed è stato riconfermato nel 2011.

L’ostracismo dei circoli “politicamente corretti” era già iniziato quando negli scorsi anni su Silva si montò una polemica sul suo stipendio da Presidente e sulla sua pensione, con l’intervento persino del drammaturgo e scrittore comunista José Saramago (1922-2010), che ha etichettò il presidente Lusitano come un «campione di banalità».

Prima di terminare il suo mandato (il 9 marzo) e cedere la presidenza del Paese a Marcelo Rebelo de Sousa, il presidente Cavaco Silva dovrà dunque promulgare le due leggi approvate in extremis dal Parlamento, oltre a quella sulle adozioni ai gay, quella sulla riforma della procedura per ottenere l’aborto, che diminuisce il diritto di informazione delle donne che decidono di richiederlo.

I veti del presidente «sono veti politici», secondo la deputata femminista e “bloquista” Sandra Cunha. «Parole amare parole che hanno solo l’intenzione di piegare i diritti degli uomini, donne e bambini a una visione ideologica del passato», ha aggiunto la deputata dell’estrema sinistra, nel suo intervento in plenaria: «Niente di più che un atto meschino di vendetta inaccettabile».

L’ACCELERAZIONE ABORTISTA DI LISBONA

L’aborto è stato reso legale in Portogallo solo nel 2007 con un referendum tenuto l’11 febbraio. Fino ad allora aveva una delle leggi sull’aborto fra le più restrittive in Europa: consentito solo in casi di gravidanza avvenuti dopo uno stupro, oppure in casi in cui la salute della paziente o del feto erano a rischio. All’infuori di questi casi veniva punita con un massimo di tre anni di carcere. Poi, con il referendum il “sì” conquistò il 59,25% ma non raggiunse il quorum del 50%, il che in Portogallo rende non vincolante la proposta referendaria.

L’allora primo ministro José Sócrates sottopose una nuova legge sull’aborto al presidente della Repubblica senza discuterla in Parlamento, la quale fu firmata dall’allora presidente della Repubblica Aníbal Cavaco Silva il 10 aprile 2007. Poi, il 22 luglio del 2015 la legge sull’aborto è stata nuovamente cambiata (al governo, i socialdemocratici) e sono stati introdotti nuovi obblighi: il pagamento di una “tassa” dall’importo ancora sconosciuto (che limiterebbe di fatto le possibilità di accesso all’aborto alle fasce economicamente più basse); un periodo di riflessione durante il quale i genitori devono essere affiancati da psicologi e assistenti sociali (la consulenza è obbligatoria e improntata a comunicare il valore della vita e della cura del nascituro); il limite legale per abortire resta di 10 settimane. Le modifiche in questione (e i conseguenti veti) riguardano particolarmente la questione delle “consulenze psicologiche” e della partecipazione dei medici obiettori di coscienza a tali percorsi.

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