Maurizio Landini l’ha capito tardi, ma l’ha capito (almeno stando a una sua intervista apparsa sul Fatto Quotidiano). La televisione può dare una popolarità enorme e un rilievo nella discussione pubblica spesso ingiustificato rispetto alla reale rappresentatività sociale di un personaggio, ma altrettanto facilmente può trasformarlo in una figurina Panini del sindacato. Fatte le debite proporzioni, stesso discorso vale per colui che ha dominato la scena politica italiana per circa un ventennio, vero mattatore del piccolo schermo. Sto parlando naturalmente di Silvio Berlusconi (anche se l’ex Cavaliere si guarda bene dall’ammetterlo). Si tratta di due esempi che, pur incommensurabili tra loro quanto a importanza nella vita repubblicana più recente, richiamano la mai risolta questione della “videocrazia” e della personalizzazione del potere.
Quest’ultima si sdoppia da tempo immemorabile in due modalità ben distinte, che “trovano nella classica tipologia weberiana una sistemazione ancora oggi validissima” (Mauro Calise, “Fuorigioco. La sinistra contro i suoi leader”, Laterza, 2013). Da un lato, c’è quello che Max Weber definiva il potere tradizionale, basato sul denaro e sulla forza degli interessi particolari. Nel caso della personalizzazione della politica, lo scambio è di voti con favori. Al potere del denaro e degli interessi particolari si può affiancare il potere della personalità.
Il grande sociologo tedesco individua i suoi tratti originali nella definizione di carisma, cogliendo una costante delle organizzazioni complesse, dall’antichità fino all’età contemporanea. La forza del carisma sta nell’ascendenza divina che – si tratti di re o profeti – viene solitamente associata al capo, e nella natura messianica del suo messaggio. Il carisma nasce da uno stato di grazia unito, quasi sempre, a una disponibilità al sacrificio come occasione palingenetica. Il capo carismatico promette per sua natura un nuovo inizio, e in questa promessa sta la sua capacità di trascinare le folle. Quando Weber scriveva le sue tesi, non c’era ancora la radio come canale di intrattenimento. Il cinema faceva i suoi primi passi (muti). E la televisione non era neppure immaginabile. Tuttavia, egli non aveva sottovalutato le potenzialità del potere carismatico. Con ciò presagendo genialmente l’irruzione, dopo pochi anni in tutta Europa, di leader visionari e magnetici. Per quanto essi facessero largo uso della propaganda di stampa e, da un certo momento in avanti, della radio, il loro appeal sulle folle era mediato soprattutto dagli assembramenti fisici, dalle “adunate oceaniche”.
Che cosa sarebbe successo – domanderà una fortunata pubblicità televisiva a proposito di Gandhi – se i leader carismatici avessero avuto a disposizione i moderni mezzi di comunicazione? Forse meno di quanto si possa immaginare. Perché, come i nuovi videoleader avrebbero imparato a proprie spese, i media hanno la capacità di rendere celebre in tempi rapidissimi un nuovo personaggio e il suo messaggio; ma, in tempi altrettanto rapidissimi, possono logorarlo e distruggerlo. È ciò che rende i “capi attuali così potenti e, insieme, così fragili” [Calise, cit.].
Ogni riferimento a Matteo Renzi non è puramente casuale.