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Eni, Saipem, Tenaris e Total. Come vanno col petrolio low cost

Il brusco calo del prezzo del greggio (-5% il Wti a fine seduta, poco sopra i 30 dollari al barile) ha affossato IERI i titoli petroliferi sui listini europei. L’indice di settore (Stoxx Europe 600 Oil&Gas) è sceso del 4,9%, trascinato da Bp, che ha chiuso in profondo rosso sia il quarto trimestre che l’intero 2015.

I NUMERI

A Piazza Affari invece Tenaris ha perso il 4,9%, Eni il 4,8% e Saipem il 3,3%. L’ondata ribassiasta è stata ieri scatenata dagli scambi di battute tra Russia e Opec, che non lasciano sperare su possibili tagli concordati alla produzione da parte dei Paesi estrattori. Il future sul Brent ha perso il 3,5% fino a 33,07 dollari al barile.

IL REPORT DI S&P’S

Il calo del prezzo del greggio si ripercuote sui conti delle compagnie petrolifere. La società di rating Standard & Poor’s ha messo sotto osservazione (in CreditWatch negativo) cinque gruppi petroliferi europei: Eni (A-), BP (A), Repsol (BBB-), Statoil (AA-) e Total (AA-). Ha tagliato inoltre la valutazione di Royal Dutch Shell da AA- ad A+, anche se la decisione definitiva sarà formulata due settimane dopo la pubblicazione dei risultati 2015. Gli analisti di S&P, che stimano quest’anno un prezzo medio del petrolio intorno a 40 dollari al barile, in rialzo a 45 nel 2017 e a 50 nel 2018, ritengono che un’elevata remunerazione degli azionisti (sotto forma di dividendo) abbia un impatto negativo sul rischio di credito delle società.

L’ANALISI DI EQUITA

Secondo gli esperti di Equita sim la più colpita è Repsol, perché è al limite della fascia investment grade: un ribasso di un notch la porterebbe a livello junk. La compagnia iberica potrebbe quindi decidere di vendere la partecipazione in Gas Natural (30%, pari a 5,4 miliardi) per mantenere inalterato il merito di credito. Le implicazioni per Eni sono invece marginali, ma potrebbero comunque accelerare le cessioni di quote in programma (Versalis, Gas Natural, accordo nel business E&P).

I CONTI DEI COLOSSI

Intanto i giganti Bp e Exxon Mobil hanno annunciato ieri risultati in profondo rosso nel quarto trimestre 2015, quando il Brent si è assestato su una media di 44 dollari al barile, in calo di oltre il 40% rispetto allo stesso periodo del 2014. La major britannica, che ha registrato una perdita annua di 5,2 miliardi di dollari, ha annunciato che intende tagliare altri 3 mila posti di lavoro nella divisione raffinazione e marketing entro fine 2017. L’americana Exxon Mobil ha invece visto l’utile netto crollare nel quarto trimestre del 58% a causa dei corsi depressi del greggio, ma è comunque riuscita a battere le attese del mercato. Nel dettaglio ha realizzato un utile netto di 2,78 miliardi, contro 6,57 dello scorso anno. La multinazionale di Irving (Texas) che dal 2002 non vedeva profitti trimestrali sotto quota 3 miliardi, ha inoltre accusato un calo del 31% dei ricavi a 59,81 miliardi. Exxon Mobil ha pagato soprattutto le deboli performance nell’upstream. La stagione delle trimestrali è solo all’inizio, il 4 febbraio sarà la volta di Statoil e Shell, il 5 di Bg, l’8 di Galp, l’11 di Total , il 18 di Omv e il 25 di Repsol, mentre Eni arriverà per ultima, il 26 febbraio.

(Pubblichiamo un estratto dell’articolo uscito sul quotidiano MF/Milano Finanza diretto da Pierluigi Magnaschi grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori)


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