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Ecco come la Germania (non) festeggia troppo la crescita dell’export di armi

La parola d’ordine di questi tempi a Berlino è “Ursachenbekämpfung”, cioè il contrasto delle cause che spingono milioni di persone a lasciare le loro case, i loro paesi per mettersi in salvo dalla guerra civile, dagli islamisti, dalle bombe che piovono dal cielo.

Ed è soprattutto alla luce di un Medio Oriente sempre più incendiario e incendiato che è stato un compito particolarmente difficile quello toccato a Sigmar Gabriel, ministro dell’Economia, nonché capo dei socialdemocratici, venerdì mattina. Doveva infatti rendere noti i dati sull’export dell’industria bellica tedesca. Gabriel aveva premesso subito che si trattava di un quadro con “luci e ombre”. Nel 2015 c’è stata, infatti, un’impennata delle esportazioni tedesche che hanno raggiunto il valore di 7,5 miliardi di euro, a fronte dei poco più di 4 miliardi di euro del 2014.

Per Gabriel un risultato particolarmente indigesto avendo promesso, nel 2013, al momento di assumere la guida del dicastero, di ridurre drasticamente le autorizzazioni all’export di materiale bellico, soprattutto quello diretto verso gli stati del Golfo.

Sono state soprattutto due grandi commesse (pari a 1,6 miliardi di euro) a far salire il valore delle esportazione l’anno scorso: quattro aerei da rifornimento per la Gran Bretagna e missili anticarro per la Corea del sud. Infine, è stato espletato un ordine risalente ancora al precedente governo (la coalizione tra Unione e liberali dell’Fdp in carica dal 2009-2013).  Si trattava di una fornitura di panzer al Qatar per un valore di 1,6 miliardi di euro. In compenso però, si è affrettato a sottolineare Gabriel, sono diminuite drasticamente le forniture di armi leggere a paesi terzi (cioè non facenti parte né della Nato né dell’Ue): cioè a 33,9 milioni di euro, il che equivale a un meno 30 per cento rispetto al 2014.

Ma Gabriel stesso sapeva che i media tutti avrebbero tralasciato questa notizia, titolando invece: cresce l’export dell’industria bellica tedesca. E così è stato. Con lo Spiegel online che aggiungeva sarcastico: “Un successo di cui Gabriel non vuol sentire parlare”, mentre il quotidiano Die Welt commentava “un ministro socialdemocratico che ‘esporta la morte’ sa bene di giocarsi il sostegno dei suoi elettori”. (Un argomento particolarmente delicato di questi tempi, viste le imminenti elezioni regionali del 13 di marzo in tre Länder).

Lo Spiegel non si limitava però a una critica sommaria. All’affermazione del ministro che la Germania ha nel frattempo introdotto, almeno formalmente, controlli, affinché i destinatari delle armi leggere non possano rivenderle, il settimanale replicava: “E’ vero questo accordo sulla carta c’è, ma fino a oggi la Germania non ha avviato uno solo di questi controlli”.

Particolarmente agguerrita si è mostrata l’opposizione politica, promuovendo Gabriel a “gran maestro dell’export delle armi”. La spiegazione del ministro del perché non gli fosse riuscito a bloccare la fornitura al Qatar appariva loro più che debole. Gabriel aveva spiegato che l’unica istituzione autorizzata a bloccare la fornitura era il Consiglio di sicurezza federale, il quale però, rimandando alla “legge di controllo sugli armamenti bellici”, aveva detto di no. Tra i motivi del rifiuto c’era ovviamente anche il gravoso risarcimento che la Germania sarebbe tenuta a pagare in caso di storno. Secondo Jan van Aken, l’esperto di armamenti del partito di sinistra Die Linke, la spiegazione di Gabriel non regge e al canale Deutsche Welle (DW) dichiarava. “Probabile che altri gli abbiano impedito di andare fino in fondo, ministri o la Kanzlerin. Ma se come ministro non riesco a impedire forniture a un paese come il Qatar che è attualmente in guerra con lo Yemen, allora vuol dire che ho sbagliato mestiere”. Ma non è solo la fornitura al Qatar a gettare un’ombra sull’operato del ministro e del governo intero. Più controverse ancora le forniture all’Arabia Saudita. “Secondo quanto comunicato dal governo, nel 2014 la Germania a fornito all’Arabia Saudita armi per un valore complessivo di 209 milioni di euro” riportava una altro articolo di DW. “Tra queste forniture vi sono armi da guerra per 51 milioni di euro. Nella prima metà del 2015 le forniture di si attestavano a 180 milioni di euro. (…) Il governo ha invece rifiutato di fornire ai sauditi i panzer Leopard e i fucili d’assalto G36, così come le componenti delle stesse per costruirli in loco. Per la casa saudita una decisione oltremodo irritante visto che possiede fabbriche di armi nelle quali potrebbe produrre su licenza i fucili d’assalto G3 e G36 e alcuni modelli di mitragliatrici”.

Sempre riguardo ai panzer Leopard che i sauditi vorrebbero, la Welt spiegava: “La precedente coalizione di governo si era mostrata possibilista. Mentre oggi il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier non è strettamente contrario, ma Gabriel ha ripetutamente detto di no”.

Alla fine della conferenza stampa Gabriel ha nuovamente parlato della sua intenzione di istituire una commissione di controllo incaricata di valutare se vi sia la necessità di norme più stringenti per regolare le autorizzazioni all’esportazione. Al momento ci sono solo indicazioni di massima che, così la Welt “servono al governo federale più che altro come linee guida morali”. La Tageszeitung (TAZ), l’omologo tedesco del manifesto, si mostrava però assai scettico sulla reale intenzione (o comunque capacità) del ministro di cambiare le regole. L’industria bellica tedesca continua a crescere e dispone di una potente lobby. Cresce non tanto per necessità interne però. Nella classifica dei paesi che spendono di più per armamenti, la Germania risulta con 36,7 miliardi di dollari al nono posto (mentre l’Arabia Saudita è al terzo con 81,9 miliardi, dietro alla Cina con 145,8 miliardi). Tra gli esportatori di armamenti bellici il paese si posizione, invece, al quarto (dopo essere stata superata l’anno scorso dalla Cina). Inoltre, si legge nel rapporto Sipri (Stockholm International Peace Research Institute) di fine dicembre scorso, mentre dal 2013 al 2014 l’industria bellica dell’Europa occidentale in generale ha visto scendere le vendite del 7,4 per cento, quelle tedesche e svizzere hanno segnato un più, rispettivamente del 9,4 per cento e dell’11,2 per cento.



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