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Tutti i dettagli sulla strana guerra dell’Australia ai pomodori italiani

La notizia è passata sotto silenzio. L’Australia ha deciso, dopo oltre due anni di indagini, di imporre dei dazi antidumping alle aziende italiane produttrici di conserve di pomodori. I provvedimenti punitivi voluti dal governo di Canberra riguardano in particolare le conserve esportate dall’Italia con i marchi Feger e La Doria. In un documento che Formiche.net è in grado di fornire (qui il pdf) da parte dell’Antidumping Commission viene imposto un dazio dell’8,4% ai marchi Feger e del 4,5% a La Doria.

Un vero e proprio schiaffo al made in Italy che il ministro dell’Industria australiano Christoper Pyne ha giustificato così: “Vogliamo permettere ai nostri produttori locali di competere alla pari nei negozi e nei supermarket australiani”.

BOTTA E RISPOSTA

L’accusa neanche tanto velata alle nostre aziende è di vendere prodotti sottocosto (pelati da 400 grammi a 60 centesimi di dollaro, contro un dollaro e 40 centesimi della principale concorrente locale, la SPC Ardmona) grazie da una parte agli aiuti comunitari che arrivano al settore agricolo e, dall’altra, per le condizioni “schiavistiche” degli immigrati – secondo l’Australia – che lavorano nelle campagne italiane, soprattutto quelle del Meridione. Da qui l’accusa alle due aziende che hanno come colpa quella di operare nell’agro nocerino-sarnese, anche se non vi è ovviamente nessuna correlazione diretta al fenomeno dello sfruttamento degli immigrati. Ma è un’accusa che brucia. Non solo a livello commerciale ma, soprattutto, per l’immagine del nostro Paese associata a fenomeni come il capolarato, la criminalità organizzata e lo sfruttamento dei migranti sottopagati. Per questo il vice ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda ne ha parlato con il commissario al Commercio, Cecilia Malmstrom durante un vertice avuto ieri a Bruxelles perché queste misure oltre ad essere infondate rischiano di far passare un’immagine sbagliata nel nostro paese all’estero. L’accusa che il nostro Mezzogiorno sia un po’ la “Cina d’Europa” viene respinta dall’Italia, anche se nessuno nega il fenomeno del capolarato per il quale il ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina ha recentemente lanciato un piano d’intervento per combattere una piaga che ha già causato diverse vittime di giovani braccianti, soprattutto donne e sottopagate.

IL PIANO DEL GOVERNO

Per questo al ministero dello Sviluppo economico stanno studiando una exit strategy per imporre alla Commissione europea un diverso approccio verso la decisone australiana. Se il governo di Canberra non dovesse fare marcia indietro “la nostra risposta politica sarà” – fanno sapere dal Mise – “di proporre che l’Europa negozi l’accordo di libero scambio solo con la Nuova Zelanda escludendo di fatto l’Australia”. Una mossa politica che alimenterebbe una guerra commerciale tra due Paesi, come l’Italia e l’Australia, che da sempre hanno buoni rapporti commerciali, testimoniati da un interscambio commerciale che nel 2014 ha raggiunto i 6,65 miliardi di dollari, con gli australiani che ci vendono soprattutto materie prime come lana, carbone, pelli e carne di manzo e importano dal nostro paese prodotti farmaceutici, pompe idrauliche, componenti elettriche, motori non elettrici per veicoli e, appunto, conserve di pomodoro.

COSA SI DICE IN CONFINDUSTRIA

Ma in questa fase i buoni rapporti commerciali passerebbero però in secondo piano, come denunciato anche da Giovanni De Angelis, direttore dell’Anicav, l’Associazione nazionale italiana degli industriali operanti nel settore delle conserve alimentari vegetali: “La decisione presa dal Governo australiano di imporre dazi antidumping sui pomodori conservati esportati dalle nostre aziende è palesemente politica – ha spiegato in una nota – e si fonda esclusivamente su una volontà del governo australiano di tutelare e agevolare l’unica azienda produttrice di derivati del pomodoro in Australia, la SPC Ardmona. Ciò si inserisce nel più ampio quadro delle politiche protezionistiche che l’Australia intende portare avanti”. “Considerare legittimamente applicabile la valutazione di sussidi all’agricoltura nell’ambito di una procedura di dumping – ha concluso l’esponente dell’associazione di Confindustria – rappresenta un precedente molto pericoloso per l’industria agroalimentare non soltanto italiana ma anche europea. Un maggior sostegno a tutela delle nostre imprese da parte degli organismi europei avrebbe potuto scongiurare una simile stortura”.



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