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A Matteo Renzi serve un salutare bagno elettorale

Due anni di governo e li dimostra tutti. L’immagine di Matteo Renzi che rimane nella mente è quella di un sindaco, un segretario di partito fotografato alla stazione di Firenze. Indossava jeans, camicia bianca ed una giacca sciancata, trascinava un trolley. Era in partenza per Roma dove, da li a poco, sarebbe stato folgorato dallo spirito di Palazzo Chigi, costretto al sacrificio del fratellastro di partito, pur superarne l’immobilismo in nome del supremo interesse nazionale.

Il resto è più o meno noto. E’ cronaca di una visione riformista della XVII Legislatura, all’italiana maccheronica in alcune vicende tipo quella delle provincie, altre ancora troppo acerbe per poter essere valutate compiutamente  – Job act – nonostante i fiumi di parole da far invidia ai Jalisse, numeri e previsioni che si rincorrono con punti di vista e percentuali ad uso e consumo della visione partigiana dell’economista e opinionista di turno.

Sull’Europa poi, il Matteo è un crescendo, una forza della natura spettacolare che, tuttavia, in quanto a show, è poca roba rispetto a quello offerto dai suoi critici, in particolare i forzisti italici che ai tempi di Re Silvio in disgrazia invocavano un atteggiamento del premier italiano di turno proprio come quello assunto oggi dal Matteo da Firenze.

Si diceva che li dimostra tutti. Il Premier pare abbia preso pure qualche chilo nonostante debba governare di corsa perché è la velocità che gli consente di galleggiare sulla sabbia di un Parlamento che non è il suo. Ed è proprio questo il punto, l’aspetto che molti critici dimenticano di riportare nei loro commenti, molti di questi più sermoni che chiose o descrizioni dell’azione governativa renziana.

Tra cambi di casacche, scissioni, ideali veri o presunti cambiati e voltagabbana, difensori dello scranno presente e futuro, aspiranti sottosegretari, vice e ministri, il nostro giovane premier Matteo da Firenze è stato davvero uno straordinario animale politico nel fiutare l’attimo delle votazioni e riuscire a sopravvivere.

Acclarato che è dotato di quelli da leader, piacerebbe ora scoprire se il Matteo possiede pure i cromosomi da decisionista non costretto a quei compromessi che, sebbene siano tra i postulati del manuale di governo, quando sono al ribasso rendono poi sciape le azioni e le riforme auspicate.

E chissà che non sia fornito anche di quelli da statista, ma per scoprirlo occorre che si liberi della diciassettesima e torni al voto. Peraltro, opinione personalissima, dati oggi i concorrenti in campo, per il Matteo candidato premier di una sua maggioranza parlamentare, vincere eventuali elezioni politiche risulterebbe più facile, salutare e tonificante di una passeggiata di salute.


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