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Meglio un Santo morto che un Papa vivo

A Roma arriva Padre Pio e arrivano anche i fedeli. Il Giubileo è salvo. Non c’è Misericordia senza Santità, dunque. I riti hanno bisogno dei miti. E se, contraddicendo l’adagio, non serve un Papa morto per farne un altro, non si può resuscitare l’attenzione della Chiesa, intesa come comunità di fedeli, senza una santità vera e tangibile come fu quella del Padre di Pietralcina.
L’operazione è, però, delicata. Perché Chiesa e Repubblica sono due architravi sempre più pericolanti dell’edificio su cui si regge l’Italietta moderata e benpensante. E delle due mummie più famose, in cui le due istituzioni si sono incarnate, si è fatto e si sta facendo grande abuso. Rischiando di liofilizzarle.
All’indomani della nascita della repubblica, della mummia di Mazzini fu fatta quella che Carducci definì demo-crati-pietrificazione. Un qualcosa che somiglia molto all’operazione che è stata fatta su Padre Pio, a maggior ragione alla luce della più recente traslazione.
Perché le istituzioni, il cui fine ultimo è l’amministrazione del potere in questo mondo, al di là dell’aldilà, quando si avvalgono del “monumento” non lo fanno se non per auto-rappresentarsi. In quest’ottica, il Padre Pio offerto ai fedeli è la versione tangibile della potenza della Chiesa, nella versione a lei più congeniale. Tangibile, vivo tra i vivi, ma muto, impossibilitato a dir messa, con tutte quelle parole scomode per l’ortodossia di Bergoglio che strizza l’occhio a Vanity Fair. La Chiesa farebbe bene a tenere a mente che se anche il suo popolo è un gregge, Padre Pio, prima di essere santo, fu pastore di campagna. Tant’é.


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