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Beppe Grillo, la volpe e il leone

Di Alessandra Ghisleri

Grazie al Movimento 5 Stelle dal 2009 – quando si è presentato per la prima volta alle elezioni amministrative – alle sorti politiche del Paese fino ad allora divise in un unico duopolio, centro destra/centro sinistra nato alla fine della Prima Repubblica, si è offerto un nuovo panorama inedito: uno schema a tre punte. Lo scenario a cui pian piano i cittadini hanno dischiuso la fiducia con il loro voto si è aperto sulle proposte politiche di cambiamento urlate da Beppe Grillo.

A giocare un ruolo decisivo nel processo di rinnovo del “sistema politico italiano”, infatti, sono sempre stati i proclami forti, facili e diretti. Soprattutto ha pagato molto la capacità di Beppe Grillo di dare voce al pensiero della maggioranza degli italiani. Quei pensieri cupi che hanno sfiorato la mente di molti cittadini, ma che nessuno, forse per pudore o per paura, ha mai avuto il coraggio di pronunciare in pubblico. E quando nel momento della crisi economica iniziano a mancare i soldi per poter affiancare nuovi posti lavoro o nuovi ingaggi al momento elettorale, la “rivolta” inizia ad avere un suo perché nelle parole del Grillo parlante.

Non tutti sono bravi giocatori di poker e non tutti sanno negoziare o alzare la temperatura della folla. Beppe Grillo la sua credibilità se l’è costruita sul campo e nel tempo. Lui, esiliato dalla Rai, ha costruito, nei suoi spettacoli di piazza itineranti, le denunce verso l’illecito anticipando i tempi delle Procure non solo in politica anche e soprattutto nella finanza com’è accaduto per Parmalat e Telecom. E allora dal suo pulpito urla e diverte e la gente gli crede e pensa effettivamente, come lui, che l’Italia abbia bisogno di cambiare e forse è giunto il momento per uscire dall’impasse.

In qualità di elettori, in qualunque direzione vada la nostra valutazione, sono necessari pochi secondi per esprimere un giudizio. In molti casi diventa un automatismo. Così il disgusto morale espresso, sostenuto dal martellante e incessante messaggio della comunicazione sui continui scandali con uomini politici coinvolti, aiuta l’ascesa del Movimento. Insomma è come se tutti politici e l’informazione lavorassero per far accrescere il consenso dei grillini. Tuttavia dietro l’angolo c’è lo “spauracchio della paura”. Se effettivamente il Movimento 5 Stelle dovesse avere i numeri per governare ne sarebbe in grado? Ma soprattutto realizzerebbe effettivamente tutto quello che annuncia, come per esempio il reddito di cittadinanza, l’impiego del trattamento meccanico-biologico dei rifiuti in luogo del ricorso agli inceneritori, l’istituzione del bilancio partecipativo?

Ricordando l’esordio dei suoi uomini in Parlamento e in Senato nel 2013, i cittadini italiani dichiarano in maggioranza (il 61,2%) che il Movimento 5 Stelle non sia ancora in grado di governare il Paese e i problemi politici emersi nelle città in cui esso amministra, come Parma (dove il Sindaco Pizzarotti è stato addirittura “disconosciuto” dal Movimento), Livorno, Gela e Quarto dimostrano che la strada che conduce al consolidamento della fiducia è ancora lunga per il Movimento e che i suoi uomini ad oggi vengono ancora visti come forza d’opposizione più che di Governo. Un’opposizione casuale e improvvisata (per il 56,1% degli italiani) più che organizzata e organica (25,5%) e che fino ad oggi ha ottenuto pochi risultati tangibili in Parlamento (per il 31,9%) e che è servita solo a crescere in esperienza e a preparare il terreno per le vittorie del futuro e la conquista di Palazzo Chigi (24,8%) più che a fare l’interesse dei cittadini (lo pensa solo il 13,8%). In questi due anni di attività parlamentare negli elettori si è consolidata l’idea che l’inesperienza la fa da padrone e che il Movimento e i suoi uomini non possano fare a meno della presenza ingombrante e maniacale di Grillo e Casaleggio. Alle ultime amministrative del 2015 è stato avvertito un cambio di passo.

Dopo una campagna elettorale condotta quasi in assenza totale della presenza dei due fondatori e che ha messo in luce sia candidati in grado di ottenere buoni risultati sia nuovi leader competenti e mediaticamente efficaci, come Luigi Di Maio e Alessandro Battista, gli elettori appaiono convinti che oggi il Movimento possa esistere anche senza Grillo e Casaleggio grazie ad una struttura che comincia ad essere radicata sul territorio (lo pensa il 45,1% degli elettori).

La capacità mediatica dei suoi uomini sta maturando e l’escalation delle loro presenze televisive ne è la prova. Se si andasse a votare, cosi come la situazione politica attuale si presenta e il centrodestra non fosse unito in un’unica lista, le probabilità di ballottaggio favorirebbero OGGI – a bocce ferme – nei numeri i 5 stelle (in un ipotetico ballottaggio il M5S sarebbe favorito rispetto il PD di Renzi: 50,2% a 49,8%, si rileva anche che in particolari momenti legati a scandali che hanno coinvolto la politica, il vantaggio rilevato è aumentato fino a 2,8 punti percentuali). Tuttavia in una campagna elettorale l’invocare a gran voce “la PAURA” come termine estremo potrebbe funzionare per avvantaggiare il PD così come è avvenuto in occasione delle elezioni europee 2014 quando l’effetto-panico influì notevolmente sull’esito elettorale (secondo il 47,7% degli italiani). Infatti, quasi un cittadino su cinque dichiarò di aver deciso all’ultimissimo momento in che modo votare e tra questi il 25% degli elettori che votarono PD forse anche spaventati dalle conseguenze, che allora apparivano ancora ignote, di un’eventuale vittoria grillina sul nostro Paese. Due qualità, dice Machiavelli, si richiedono a chi governa, due qualità ben equilibrate, quella della volpe e quella del leone. La prima consiste nella capacità di affrontare e risolvere le situazioni contingenti; la seconda nella forza per saper mantenere la coesione, il consenso, la mobilitazione delle energie verso un fine comune. Ad oggi il M5S non ha ancora raggiunto il suo equilibrio forse perché ancora troppo chiuso sulle sue posizioni.

(Articolo uscito sull’ultimo numero della rivista Formiche)



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