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Ecco i punti fondamentali della riforma costituzionale Boschi-Renzi

Maria Elena Boschi

Nella ruota della fortuna di Matteo Renzi si è inserito di prepotenza e in questi giorni di dilemma europeisti, il sondaggio sul referendum che gli elettori potrebbero essere chiamati ad approvare sul disegno di legge “Boschi”, qualora la riforma non dovesse ottenere, nella seconda lettura, la maggioranza dei due terzi dei componenti delle Camere. L’iter è previsto dalla Costituzione italiana. Secondo l’articolo 138 “le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o 500mila elettori o cinque Consigli regionali”. Ricordiamo ai nostri lettori i punti fondamentali della cosiddetta Riforma Boschi perché “usa” dare il nome delle riforme a chi ne è primo firmatario e relatore dunque il giovane e soave Ministro Maria Elena Boschi. Allora vediamone i contenuti facendo un breve riassunto che ho messo a disposizione dei miei studenti, con ovviamente alcune riflessioni a cui non mi sottraggo.

1.Finisce il bicameralismo perfetto. Il cuore del provvedimento è il superamento del bicameralismo perfetto. Il Parlamento sarà sempre composto da Camera e Senato, ma solo Montecitorio potrà accordare o revocare la fiducia al governo. Inoltre la stessa Camera dei deputati avrà la preminenza legislativa. In sostanza è una riforma che punta a snellire i tempi per l’approvazione delle leggi. Anche se il voto di Palazzo Madama avrà lo stesso peso dei colleghi onorevoli in un lungo elenco di leggi bicamerali, fra cui quelle di revisione costituzionali.

2.Come cambia il Senato. Subirà un taglio dei senatori. Da 315 a 100. Tutti con l’immunità. 95 saranno eletti dai Consigli regionali “in conformità alle indicazioni espresse dagli elettori alle elezioni politiche”. Gli altri 5 potranno essere nominati, come accade anche oggi, dal Presidente della Repubblica. Continueranno a sedere sugli scranni di Palazzo Madama gli ex inquilini del Quirinale.

3.Come cambia l’elezione del Capo dello Stato. Il Presidente della Repubblica sarà eletto con i due terzi di senatori e deputati nei primi tre scrutini e con i tre quinti dal quarto scrutinio. Dal settimo si passa a un quorum dei tre quinti dei votanti. Adesso, invece, la Costituzione prevede che all’elezione partecipino anche tre delegati per ogni Regione (la Valle d’Aosta con un solo). Viene eletto Presidente chi riceve la maggioranza di due terzi dell’assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta. Modifica del Titolo V. È la parte della Costituzione dedicata agli Enti autonomi che costituiscono la Repubblica. Si è riscritto l’elenco delle materie riportandone molte alla competenza dello Stato e sono state eliminate quelle concorrenti. Inoltre sono state cancellate le province dal testo costituzionale.

4. Leggi popolari e referendum Cambiamenti anche per gli istituti di democrazia diretta. Per presentare una proposta di legge popolare serviranno 150mila firme (oggi ne occorrono almeno 50mila da parte degli elettori), ma saranno certi i tempi per l’esame. È salita anche la soglia per il referendum abrogativo: non più 500mila firme di elettori, ma 800mila e il quorum sarà fissato al 51% dei votanti delle ultime politiche. Invece se la raccolta firme si attesta tra le 500 e 800mila resta il quorum del 51% degli aventi diritto al voto.

5.Abolizione del Cnel. La riforma costituzionale prevede l’abrogazione dell’articolo 99 della Costituzione, quello riguardante il Cnel, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro. È un organo di consulenza delle Camere e del governo: gode dell’iniziativa legislativa e può contribuire all’elaborazione della legislazione economica e sociale.Non scomparirà subito. Entro 30 giorni dall’entrata in vigore della legge verrà nominato un commissario straordinario a cui sarà affidata la liquidazione e la ricollocazione del personale presso la Corte dei Conti.

6.Quando si voterebbe il referendum. Il testo definitivo della riforma “Boschi” è stato votato alla Camera l’11 gennaio scorso. Nella seconda votazione i parlamentari potranno solo votare Sì o No, non sono più ammesse modifiche. Montecitorio si esprimerà definitivamente l’11 aprile. La parola ai cittadini potrebbe passare, verosimilmente, in ottobre. Potranno partecipare tutti coloro che godono dei requisiti per eleggere i rappresentanti alla Camera dei deputati, quindi anche i maggiorenni. La consultazione non prevede un quorum minimo di partecipanti e la legge “Boschi” non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Se vincessero i No il governo Renzi andrebbe a casa. Come stanno le cose secondo i sondaggi che sono sempre da prendere con le pinze. Infatti dipende da quanti sono interpellati i campioni di elettori ma sicuramente c’è già una netta maggioranza di italiani che andrà a votare, già indicativamente orientato a votare no al quesito che dovrebbe essere confermativo.

Comunque il quesito dovrebbe essere secondo l’art della Costituzione 138, così (più o meno): “Approva la legge Costituzionale n…. pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n….. SI –NO”.  Personalmente la confusione più evidente è relativa alla tecnicità molto incerta e confusa che prevede il pseudo metodo elettivo dei senatori consiglieri regionali: non molti cittadini sono in grado di cogliere e comunque appare meno attraente della prevista riduzione da 315 a 100 senatori. Si’ perché si configura come una ripetizione della Conferenza Stato Regioni e dunque una clonazione dei posti di potere. La stessa confusione che riguarda la revisione del Titolo Quinto, con l’abolizione della competenza concorrente e la ridistribuzione delle materie in capo allo Stato: che caos si evidenzia con gli enti locali in subbuglio per mancanza di risorse per i servizi e i problemi di finanziamento che la Conferenza Stato regioni già oggi pone? Dalla parte del No al referendum sicuramente c’è questa personalizzazione del risultato del referendum che il Renzi ha caricato su di sé: “Il voto referendario è un voto sulla mia persona e sul mio operato di capo del governo”.

Se dovesse vincere il No, questo sarebbe da intendersi come un voto di sfiducia nei suoi confronti (e della sua maggioranza), che lo indurrebbero a dimettersi. Una sorta di recall quindi, per il tramite del referendum costituzionale. Il ricorso allo strumento referendario si tramuta così su un voto di sfiducia popolare tutto orientato politicamente e ignaro dei contenuti, giusti o sbagliati, della riforma costituzionale. Una crisi extraparlamentare dunque tutta calata sulla personalizzazione del voto referendario voluta dal presidente del consiglio, per giunta in un contesto nel quale egli non solo non è stato eletto direttamente ma nemmeno designato con il voto dal corpo elettorale. Verrebbe quindi a mancare qualunque legame elettorale di cd. democrazia immediata e, pertanto, risulterebbe un azzardo stabilirlo ex post sulla base del referendum costituzionale. L’altro argomento da tenere in considerazione ,pur rispettando gli argomenti costituzionalistici, è quello del voto non tanto e non solo contro la riforma costituzionale ma piuttosto contro la legge elettorale cd. Italicum. Vero è che ci sono in atto una serie di ricorsi che arriveranno alla Corte costituzionale, sperando poi che quest’ultima ampli il suo pronunciamento di illegittimità sulla scia della sentenza n. 1 del 2014).

Dunque se il referendum costituzionale sarà sconfitto,è ovvio che trascinerebbe con sé la nuova brutta legge elettorale, rendendola inapplicabile, in quanto pensata, scritta e attuabile per la sola Camera dei deputati, nella previsione che il Senato non avesse più il rapporto fiduciario con il governo, come previsto dalla riforma costituzionale. Il ragionamento sul combinato disposto riforma costituzionale più legge elettorale, non fa una piega: questo meccanismo finirebbe col sovvertire il principio democratico soffocando il pluralismo politico, in quanto ci sarebbe una sola Camera che decide in nome e per conto di una maggioranza, che fosse frutto di un significativo premio in termini di seggi. E questo ovviamente non è una buona prospettiva per questo nostro Bel Paese.


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