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Come arrestare la fuga dei giovani all’estero

Di Axel Vignotto

In questi giorni l’associazione studentesca StudiCentro ha pubblicato un report sulla fuga dei giovani dall’Italia. In questo intervento Axel Vignotto, presidente della Consulta Provinciale di Imperia, approfondisce il tema del merito e delle fughe all’estero. Argomento particolarmente sentito per le provincie frontaliere che registrano picchi di abbandoni rispetto alla media italiana (nella provincia di Imperia, ad esempio, il 7,3% della popolazione under40 scappa all’estero, contro una media nazionale del 3,3%).

CRONACHE DALL’ESTREMO NORD-OVEST

Ci troviamo nel Nord Italia, più precisamente in una zona nella quale si respira già un’aria di internazionalità, trovandosi la stessa in stretta comunicazione, attraverso le Alpi Marittime, con il territorio francese. Qui abbiamo dovuto registrare sempre più numerosi casi di laureati che abbandonano la propria città in vista di specializzazioni o addirittura opportunità lavorative disponibili all’estero; moltissimi sono inoltre i giovani studenti i quali, superato l’esame di maturità, si sono decisi a frequentare gli atenei di paesi stranieri, e non solo quelli d’oltralpe, ma anche quelli d’oltremanica.

Gran parte di essi, nella previsione di questa scelta, hanno addirittura anticipato il loro addio al suolo natio agli anni delle scuole superiori, iscrivendosi ad istituti di istruzione secondaria in Francia o in Inghilterra, certi di arrivare all’Università già integrati alla perfezione nel tessuto sociale della nuova patria di adozione. Cosa li ha spinti? Cosa cercano? Cosa hanno trovato o contano di trovare abbandonando il nostro Paese? Lo abbiamo chiesto ad alcuni di loro.

QUELLO CHE GLI STUDENTI CI DICONO 

Dalle testimonianze emerge con prepotenza un minimo comune denominatore: la scarsa fiducia nelle possibilità lavorative offerte dopo il corso di studi dal nostro Paese. E’ il sentimento che questi studenti maturano pian piano fin da piccoli. Da noi ci sono troppi ostacoli all’inserimento di un giovane nel mondo del lavoro: è quello che sentono ripetere ovunque dagli adulti e, purtroppo, è quello che devono constatare sulla pelle propria o di qualche conoscente. E allora, in via precauzionale, o provvidenziale (a seconda dei punti di vista), emigrano. Pur non essendo economisti, ci sentiamo di dover fare alcune considerazioni.

Come dimostrato dal nostro Report, l’allungamento della prospettiva di vita, cosa che costituisce un indubbio traguardo, e il conseguente innalzamento dell’età pensionabile appaiono essere il più grande ostacolo alla introduzione di forze fresche e vitali nel mondo del lavoro. E tuttavia il medesimo invecchiamento della popolazione è riscontrabile di sicuro anche negli altri Paesi, proprio quelli che accolgono i nostri “fuoriusciti”. Può darsi quindi che altri siano i motivi ostativi all’ingresso dei nostri giovani nel mondo del lavoro e, in precedenza, nel mondo dell’Università.

E’ evidente a tutti, e non da oggi, come sia tutto il sistema del mondo del lavoro di per sé a formare una barriera all’ingresso dei giovani: e purtroppo si tratta di un sistema farraginoso, nel quale quando si procede alle assunzioni lo si fa seguendo metodi che ci ricordano le file al supermercato o i bollini per i premi. E una volta assegnato il posto, nulla, neanche l’attestazione dell’incapacità o del menefreghismo più assoluto di chi ricopre l’incarico può portare ad una sua sostituzione con chi ne avrebbe invece più requisiti per abilità e merito.

IL MERITO, QUESTO SCONOSCIUTO

Il merito: ecco il criterio principe che governa i meccanismi di assunzione negli altri paesi, perché la capacità, la buona volontà, una buona idea portano prosperità all’impresa. Ecco perché molti dei nostri studenti si recano all’estero, certi di essere apprezzati per quello che valgono.

Da noi invece il merito è un principio che deve mettersi in coda dietro i diritti di precedenza acquisiti a chissà quale titolo. Nessuna impresa prospera con questo sistema e l’economia, alla fine, ne risente: meno lavoro, meno acquisti, meno commesse, meno assunzioni. E’ un circolo vizioso.

Torniamo a valorizzare il merito, premiamo coloro che dimostrano di sapere e volere fare, e metteremo la macchina dello Stato nelle mani dei capaci e dei volenterosi. E cominciamo dalla scuola, importantissimo vivaio di nuove speranze. Torniamo ad attribuire importanza alle figure del mondo dell’istruzione. Come dichiara Giuseppe Palmero, della direzione nazionale di StudiCentro, “dobbiamo necessariamente riconsiderare il valore centrale del discente“. E inoltre “Non bisogna più considerare solo ed esclusivamente il rendimento scolastico, ma bisogna premiare quelle che sono attività extra-scolastiche importantissime: la rappresentanza, la protezione civile, l’assistenza sociale, lo sport, l’arte e la musica, tutti ambiti formativi importanti…E’ fondamentale riformare sia l’organo scolastico, ma anche il metro di giudizio, premiando così non solo l’eccellenza in classe, ma anche l’eccellenza fuori dall’aula di lezione” ha dichiarato lo stesso Palmero all’ANSA il 25 maggio scorso.

In questo senso la Buona Scuola sembra muoversi nella giusta direzione. Ed in effetti, con il “bonus 18enni, il governo difende la dignità dei giovani“, come ha affermato Virgilio Falco di Presidente StudiCentro: 50 milioni di euro in borse studio per gli studenti meno abbienti ed un bonus di 500 euro per tutti coloro che, al di là delle ore di lezione, vogliano ampliare le proprie conoscenze partecipando ad eventi culturali od acquistando materiale allo stesso scopo, “va nella direzione giusta di proteggere la dignità delle giovani generazioni”; allo stesso modo, il rafforzamento dello stipendio dei docenti mediante un bonus da spendere in cultura non può far altro che bene a chi fra loro abbia la volontà di perfezionarsi ancora di più, il che inevitabilmente avrà un riflesso positivo anche sui suoi studenti; la tanto paventata maggior autonomia, anche decisionale e disciplinare, costruita intorno alle figure del Dirigente Scolastico, in realtà non fa che “slegare le mani” a chi si trova a stretto contatto con il corpo docente, ne conosce le potenzialità ma anche le deficienze, attribuendo il potere di prendere decisioni, ma anche la responsabilità di rispondere delle proprie scelte che influiranno poi sul buon nome dell’Istituto. Anche questo verrà quindi alla fine valutato “per i meriti”.

CONCLUSIONI

Smossa la situazione dai i recenti interventi legislativi, occorre però che anche le giovani generazioni si adoperino per ottenerne il massimo vantaggio. Questo significa approfittarne per migliorare, abbandonare la prospettiva di portare a casa un pezzo di carta qualunque e poi cercare fortuna all’estero, ma batterci perché il “pezzo di carta” sia pieno di contenuti, lottando per affermare il diritto di essere bravi per noi e per gli altri, a casa nostra secondo le nostre capacità, secondo le specificità del territorio, restituendo alla scuola italiana tutto il valore che merita.

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