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Renzi ascolti un po’ i consigli di Monti

Mario Monti

Se fossi Renzi anziché arrabbiarmi con Monti riconoscerei che l’intervento del già Presidente del Consiglio ora senatore Mario Monti è stata una bella scialuppa lanciatagli in un mare in tempesta. Sì perché il ragionamento e le riflessioni severe del Professore in loden danno la possibilità al giovane toscano irruente di stoppare elegantemente la deriva antieuropeista che ha incalzato. Infatti la rappresentazione ostile dell’Europa nuoce pesantemente all’Italia già marcatamente emarginata dal gruppo dei decisori che in questi giorni giocano una partita pesantissima, tutta apparentemente spostata sull’immigrazione – che ha sì delle ripercussioni- ma in effetti esclusivamente economica il cui centro è l’assetto bancario dell’Unione.

L’Europa, non più cantiere di investimento, ma bene di consumo dei singoli Stati, è in una situazione di pericolosissima frantumazione. Sulla questione flessibilità è il momento di dire la verità: i problemi dell’Italia e della sua lenta ripresa non sono per colpa dell’Europa ma nella mancanza di coraggio nell’affrontare problemi urgenti primo fra tutti il taglio e la razionalizzazione della spesa pubblica che non si è fatto neanche nella legge di stabilità, tanto meno nel processo riformatore in atto. I flussi dell’immigrazione sui quali si chiede flessibilità per gli alti costi sostenuti dall’Italia, devono essere di competenza del bilancio Europeo e subito creando un Fondo e assumendo delle ripartizioni condivise.

Se vi sono due Europe, una che esclude gli immigrati, e l’altra che li accoglie (o comunque li salva dalla morte certa) bisogna prendere atto che l’Unione Europea è già rotta e che bisogna ri/costruirla con coraggio diversamente anche la partita economica rischia di schiacciarci. Ecco perché è decisivo che Renzi ascolti i suggerimenti di buon senso e dismetta i toni da arrogante. Renzi ha sbagliato manovra economica perché in un Paese con un alto debito pubblico e una robustissima ricchezza privata ha ridotto le imposte sul patrimonio per dare strumentalmente ed elettoralmente gli 80 euro e i 500 euro agendo invece che sul cuneo fiscale che avrebbe veramente aiutato il sistema produttivo fiscale.

Inoltre c’è da dire che la vera preoccupazione ora sta a livello europeo nelle nuove regole sulle banche erroneamente sempre camuffate nei contenuti di manovra adottando degli inglesismi incomprensibili ai più cioè usando quei termini che mettono soggezione al popolo come il bail-in e prima la spending-review.

Spieghiamo bene allora che sta succedendo. Questa responsabilità condivisa dell’andamento delle banche da parte dei risparmiatori/correntisti aumenta i costi potenziali dei contribuenti rispetto ai tradizionali salvataggi bancari perché il limite all’acquisto di titoli pubblici da parte delle banche ( che sono la nostra tradizione italiana più usata per investire) fa crescere il costo del credito e aumenta inevitabilmente i divari nella Ue già molto evidenti ( per fare un esempio : la Germania ora ha un surplus nei conti con l’estero che frena la crescita complessiva dell’Europa).

Uno studio di Paolazzi e Rapacciuolo, dimostra come regole per i salvataggi bancari (bail-in),e altre in discussione che impongono perdite ad azionisti, obbligazionisti e correntisti sopra i 100mila euro degli istituti in crisi, che dicono essere volte a tutelare il contribuente in realtà, a fronte di difficoltà sistemiche, quadruplicano i costi per i contribuenti. Primo, con la perdita di valore dei loro asset, a causa del crollo delle quotazioni di Borsa e dei prezzi delle case. Secondo, con la diminuzione del reddito. Terzo, con la perdita di posti di lavoro. Quarto, con l’incremento della tassazione e/o con il taglio della spesa pubblica, necessari a coprire il deficit pubblico causato dal peggioramento dell’economia.

Questo quadruplo conto verrebbe, infatti, presentato proprio dal mancato salvataggio delle banche per l’operare, in sua vece, del bail-in, che innescherebbe una violenta recessione. In buona sostanza per dirla in parole semplici, le nuove regole europee (in particolare quelle sugli aiuti di Stato) ostacolano alcune misure di salvataggio. La grande mole di crediti deteriorati nei bilanci bancari è stata causata dalla lunga e profonda recessione, non da una erogazione di prestiti poco accorta. Un insieme di interventi per liberare subito i bilanci bancari, tra cui la creazione di più società veicolo in cui trasferire le sofferenze, la diluizione delle eventuali perdite in più esercizi e l’accelerazione dei tempi di escussione delle garanzie, è indispensabile per rilanciare il credito e l’economia, ma alcune misure sono ostacolate dalle nuove norme europee.

Le garanzie statali a prezzi di mercato non risolvono il problema.La proposta di porre un limite all’acquisto di titoli di Stato domestici da parte delle banche non spezza il legame tra debito bancario e debito sovrano. I sistemi bancari restano “nazionali” perché in ogni paese il rendimento dei titoli di stato guida i tassi di mediolungo termine, in particolare il costo della raccolta bancaria. Inoltre, quel limite non farà fluire più credito all’economia, anzi lo ridurrà. C’è da dire che molti paesi europei,hanno già sostenuto con risorse pubbliche le loro banche negli anni recenti, tra il 2008 e il 2013. L’Italia finora, tra i principali paesi della UE, è quello che ha destinato il minore ammontare di risorse al sostegno delle banche: 8 miliardi di immissione di capitale, contro 73 della Spagna, 56 della Germania, 49 dell’Irlanda e 28 della Francia.

In rapporto al PIL, 0,5% in Italia, contro 1,4% in Francia, 2,2% in Germania e 6,6% in Spagna. Analoghe considerazioni valgono per gli interventi di garanzia: 119 miliardi in Italia (dati a fine 2013), a fronte dei 382 della Germania e 141 della Francia. Tra il 2011 e il 2012, nel pieno della crisi dei debiti sovrani, l’Italia affrontava notevoli difficoltà sui mercati internazionali, in particolare con un’impennata dei rendimenti dei titoli pubblici, che non hanno consentito in quel momento al Paese di intervenire sulle sofferenze con le stesse risorse messe in campo dagli altri paesi. A inizio 2016, con le nuove regole europee in vigore che non consentono più quel tipo di interventi, il MEF(Ministero Economia e Finanza ) ha varato un meccanismo per la concessione di garanzie dello Stato, a titolo oneroso, per favorire operazioni di cartolarizzazione di crediti bancari in sofferenza, ma non purtroppo risolutivo.

Le garanzie possono essere richieste dalle banche che cartolarizzano i crediti in sofferenza6, a fronte del pagamento di una commissione allo Stato, espressa in percentuale dell’ammontare garantito. Il prezzo della garanzia era il punto critico, su cui il MEF ha dovuto raggiungere un accordo con la Commissione UE: sarà un prezzo di mercato, in modo che la garanzia non venga considerata un aiuto di Stato. Il prezzo sarà crescente nel tempo, sia per tenere conto dei maggiori rischi connessi a una maggiore durata dei titoli, sia per introdurre un incentivo a recuperare velocemente i crediti. Questo meccanismo di mercato rappresenta un passo avanti, perché si mette a disposizione del sistema un nuovo strumento. Tuttavia, le garanzie non sembrano in grado di incidere rapidamente sullo smaltimento dei crediti deteriorati presenti nei bilanci delle banche.

Il meccanismo, infatti, non migliora in modo decisivo le attuali condizioni di mercato per le banche e per i potenziali investitori,potrà sì facilitare, gradualmente, lo smobilizzo di quelle sofferenze per le quali la distanza iniziale tra prezzo di domanda e di offerta sia inferiore. Ma per ridurre a livelli fisiologici lo stock attuale di crediti deteriorati occorreranno diversi anni. La via maestra per abbassare la montagna delle sofferenze resta la crescita economica, che però viene frenata proprio dai nodi del credito. Ecco perché Renzi che evidentemente ha bisogno di aiuto, deve cedere un po’ della sua arrogante sovranità nazionale e farsi aiutare. Diversamente sarà ulteriore inarrestabile declino.

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