Per la serie «c’è chi vuole fare le scarpe a Renzi», due new entry. Il quotidiano Il Foglio ha avanzato l’ipotesi di un complotto orchestrato da tre ex premier (Enrico Letta, Massimo D’Alema e Romano Prodi), d’intesa con non meglio precisati poteri forti europei, per far cadere il governo di Matteo Renzi e insediare al suo posto Tito Boeri, attuale presidente dell’Inps, che all’uopo starebbe facendo di tutto per accreditarsi presso il Quirinale. Prove del complotto? Zero. Indizi, sia pure minimi? Nulla di nulla, tranne il probabile astio personale dei tre ex premier verso Renzi, oltre all’ambizione personale del presidente dell’Inps. Ma se il complotto è tutto qui, tanto che perfino il Foglio, scoprendolo, ne dubita, Renzi può dormire tranquillo.
Più preoccupante, dal suo punto vista, appare invece un fatto passato quasi in sordina: l’ampia intervista che il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha rilasciato al sito Politico a proposito del superministro Ue del Tesoro. Come è noto, in una lettera a Repubblica, Renzi ha detto chiaro e tondo di essere contrario a questa figura, proposta dai banchieri centrali di Germania e Francia: «Oggi il problema dell’Unione europea non è il superministro, ma la direzione della politica economica. L’austerity non basta. Anzi, di sola austerità si muore». Dunque, largo a una nuova politica, più puntata sulla crescita e sugli investimenti.
Ma Padoan è di parere diverso: «Sono molto favorevole alla creazione di un superministro delle Finanze Ue», ha detto a Politico. «La vera questione non è se questa figura istituzionale ci piaccia o no, ma cosa gli chiediamo, quale sarebbe il suo mandato di ministro delle Finanze unico nell’eurozona».
Attenzione alle date: l’intervista a Padoan è uscita su Politico alle ore 17.01 di mercoledì 10 febbraio. Dunque è stata registrata e scritta nelle stesse ore in cui Renzi stava preparando la lettera, che il giorno dopo (giovedì 11) sarebbe uscita su Repubblica. Se ne deve dedurre che su un tema per nulla secondario, quale la risposta dell’Italia alla proposta congiunta dei banchieri centrali di Germania e Francia, Jens Weidmann e Francois Villeroy de Galhau, proposta condivisa dal capo della Bce, Mario Draghi, il nostro premier e il ministro dell’Economia non si sono neppure consultati. La disparità di vedute che ne è uscita è clamorosa, difficilmente è sfuggita ai banchieri e ai governi di Berlino e Parigi, e di certo non ha giovato a Renzi.
I media italiani si sono limitati a riferire, en passant, che Padoan è favorevole al superministro, mentre Renzi è contrario. Ma l’intervista del ministro si dilunga anche altri temi. Per Padoan, i compiti principali del superministro Ue del Tesoro dovrebbero essere la gestione delle risorse comuni per fare fronte ai due maggiori problemi dell’Europa: la crisi migratoria e la stabilità finanziaria. «Il fronte dei migranti», nota Padoan, «è stato finalmente riconosciuto come un problema europeo, è una questione sistemica, è fondamentale per la stabilità dell’integrazione europea. Gli accordi di Schengen devono essere rispettati e rafforzati. Così come serve una strategia comune sull’immigrazione, che sia sostenuta da risorse comuni europee».
Fin qui, anche Renzi potrebbe metterci la firma, visto che, da mesi, chiede alla Commissione Ue di escludere dal calcolo del rapporto deficit-pil i tre miliardi che l’Italia spenderà quest’anno per accogliere i migranti. Richiesta finora contestata da Bruxelles, quanto meno nella sua interezza. Ma è la parte economica dell’intervista di Padoan che fa a pugni con il no di Renzi al superministro Ue. Per il ministro, «la risposta a turbolenze sistemiche deve essere sistemica, non la si può gestire caso per caso»; da qui il suo ok per il superministro Ue. E se questo deve comportare una forte cessione di sovranità nazionale, Padoan è pronto a farla, convinto che sia il modo migliore per avere qualcosa in cambio: «Se vogliamo costruire un’Unione, allora dobbiamo pur condividere qualcosa». Un chiaro riferimento alla Germania, che vuole il superministro, ma finora ha posto il veto su quella parte dell’unione bancaria che prevede l’attivazione di un fondo di garanzia comune, con la scusa che i tedeschi «non devono pagare per gli errori di altri» (Schaueble dixit).
Purtroppo per Padoan, a questa sua apertura, la Germania ha risposto con un’ulteriore chiusura, facendo balenare l’ipotesi che le banche dell’eurozona, in futuro, non dovrebbero detenere titoli di Stato del proprio Paese sopra il 25% del proprio capitale. Una nuova direttiva già alla studio della Commissione Ue, che per l’Italia, se approvata, sarebbe «catastrofica»: attualmente le banche italiane detengono bond pubblici in quantità largamente superiori al 25% del capitale, e se dovessero disfarsene, il Tesoro italiano andrebbe incontro a difficoltà enormi nei futuri collocamenti, mettendo a rischio perfino la possibilità di pagare stipendi e pensioni. Uno scenario che evoca rischi di default, con la Troika al posto di Renzi.
Per fortuna, al momento sono solo ipotesi. Ma la minaccia tedesca è talmente seria che Renzi e Padoan, prima di pronunciarsi sui prossimi passi in Europa (e sui diktat di Schaueble), farebbero bene a consultarsi. A meno che non sia Padoan, zitto zitto, a coltivare la stessa ambizione di Boeri.
(Pubblichiamo questo articolo uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori)