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Ryanair dice addio all’Italia?

La politica clientelare e protezionista, che da anni grava sugli aeroporti, costa sempre più cara agli italiani. La compagnia irlandese Ryanair, prima in Italia per numero di passeggeri (26 milioni contro i 23 di Alitalia), il 2 febbraio ha annunciato la chiusura delle sue basi in tre aeroporti (Alghero, Pescara e Crotone): 16 rotte cancellate, 800 mila passeggeri persi, 600 posti di lavoro bruciati. Il motivo? «Il governo italiano ha aumentato le tasse di circa il 40% (da 6,50 a 9 euro) per ciascun passeggero in partenza dall’Italia dal primo gennaio per sussidiare il Fondo per la cassa integrazione degli ex piloti Alitalia», spiega un comunicato della compagnia. «Come conseguenza, a Ryanair non è stata lasciata altra scelta se non spostare aeromobili e posti di lavoro fuori dall’Italia verso le altre basi in Spagna, Grecia e Portogallo, dove non vengono addebitate tali tasse per passeggero».

Nel settembre scorso, quando la compagnia irlandese decise di aumentare la propria attività su Malpensa, mossa provvidenziale per il dopo Expo, il boss di Ryanair, Davide O’Brien, disse papale papale: «Gli italiani preferiscono una compagnia a basso costo e alto servizio come noi, piuttosto che una dai prezzi alti e dal servizio rubbish (spazzatura, ndr) come Alitalia. La loro strategia è mandare gente ad Abu Dhabi e Berlino, il nostro obiettivo è dare un servizio agli italiani, siamo noi oggi la compagnia nazionale italiana». Nella stessa occasione, bocciò il Piano nazionale aeroporti («un monopolio di sistemi negativo per i consumatori»), e criticò il Fondo di sostegno per il trasporto aereo: «Sono soldi per i piloti Alitalia, che ai viaggiatori italiani sono costati 488 milioni e ai nostri viaggiatori 117 milioni di euro».

Parole urticanti, ma per nulla infondate. Pochi mesi prima, le stesse critiche a quel Fondo erano state lanciate dal presidente dell’Inps, Tito Boeri, scandalizzato dai privilegi che lo distinguono. Basti pensare che questo Fondo versa la cassa integrazione a circa diecimila dipendenti del trasporto aereo, per lo più ex di Alitalia (piloti e personale di volo), che percepiscono da diecimila a ventimila euro al mese, con punte di trentamila.

Istituito otto anni fa dal governo di Silvio Berlusconi, il Fondo per la cassa integrazione extra lusso degli ex dipendenti di Alitalia non doveva costare neppure un euro ai contribuenti (così assicurò il Cavaliere), ma solo pochi spiccioli ai passeggeri aerei. Ne nacque un pedaggio che, all’inizio, era di un euro, poi salito a due, quindi a tre, e così via, fino ai 9 euro attuali.

Per la cronaca: 9 euro è il prezzo dei biglietti aerei che Ryanair fa pagare quando inaugura una nuova rotta internazionale. Un prezzo promozionale che, per le nuove rotte in partenza dall’Italia, dovrebbe raddoppiare, giusto per garantire agli ex piloti di Alitalia da 10 a 30mila euro al mese. Uno scandalo che giustifica ampiamente la decisione di O’Brien. Oltre a questo, vi sono altri aspetti negativi nella politica del settore, primo fra tutti il protezionismo in atto da decenni. Basta ricordare come vengono rilasciate le concessioni aeroportuali. «È giusto fare le gare europee, e le faremo», disse Delrio in Parlamento appena nominato ministro al posto di Maurizio Lupi (21 aprile 2015). Un impegno solenne, e tutt’altro che casuale, visto che da decenni in Italia tutte le concessioni, sia quelle per la gestione delle autostrade che quelle aeroportuali, erano state rilasciate dai governi di ogni colore politico senza rispettare le direttive europee. Anche con Delrio, però, alle parole non sono seguiti i fatti. È stato così per l’Autobrennero e per le Autovie Venete, ridate in concessione, senza gara europea, a società controllate dai potentati politici locali. Ed è stato così anche per gli aeroporti, come rivela un articolo di Dario Balotta per il sito bocconiano lavoce.info.

Nel timore che la guerra giudiziaria tra Verona e Bergamo per la gestione dell’aeroporto Montichiari di Brescia, assegnata senza gara, finisse davanti alla Corte di giustizia europea, svegliando il cane che dorme, il ministro Delrio e l’Enac hanno fatto di tutto perché i contendenti (la società Catullo che gestisce l’aeroporto di Verona, e la Sabco che controlla quello di Orio al Serio, entrambe interessate a quello di Montichiari) ponessero fine alla lite giudiziaria in sede Ue. «Una guerra che non giova a nessuno, e può creare danni a tutti», l’argomento decisivo. Spiega Balotta: dovendo sentenziare sull’aeroporto di Brescia, la Corte di giustizia Ue avrebbe scoperto facilmente che in Italia, malgrado una legge del 1993, le concessioni aeroportuali non sono state mai assegnate con una gara. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: ben 112 aeroporti, per lo più piccoli e tutti in perdita, gestiti come centri di consenso politico locale, a carico dei contribuenti. Un settore malato, oltre che un aggravio fiscale insensato, che il boss di Ryanair ha fatto bene a denunciare e rifiutare.

(Pubblichiamo questo articolo uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori)

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