In un documentato articolo (Formiche.net, 17 febbraio), Rossana Miranda elenca tutti i guai giudiziari da cui è afflitto Nicolas Sarkozy. La sua popolarità nell’elettorato conservatore è in picchiata, e difficilmente riuscirà a spuntare una candidatura per l’Eliseo. Non ho ancora letto il suo libro autobiografico “La France pour la vie”. Lo farò presto, anche perché sono curioso di verificare se ha menzionato un curioso episodio di cui è stato protagonista nel 1995.
Forse qualcuno se lo ricorda. Nell’estate di quell’anno apparvero sul giornale economico Les Echos ventiquattro “Lettres de mon château”. Lettere immaginarie, inviate -tra gli altria François Mitterand, Edouard Balladour, Charles De Gaulle, Bill Clinton. Piene di giudizi assai taglienti sulla politica dell’Eliseo, erano attribuite a un fantomatico “homme de l’ombre et de pouvoir comme l’était Mazarin”. Nel 2004 Le Monde rivelò la sua identità: era Nicolas Sarkozy, che Jacques Chirac aveva estromesso dal governo Juppé dopo essere stato eletto presidente della Repubblica.
L’episodio è rivelatore non solo del carattere di Sarkozy, ma di un dato più generale della cultura politica d’oltralpe. Infatti, i politici francesi contemporanei non amano essere accostati a Giulio Raimondo Mazzarino (1602-1661), il cardinale erede di Richelieu, “principale ministro” sotto il regno di Luigi XIV e tra gli artefici del passaggio dallo Stato rinascimentale allo Stato assolutistico.
In una splendida biografia (“Mazzarino“, Salerno Editrice, 2015), Stefano Tabacchi smonta tutti i cliché denigratori della sua figura tramandati dalla memorialistica seicentesca. Nel romanzo “Vent’anni dopo” (1844), Alexandre Dumas li aveva mescolati sapientemente: il paragone impietoso col predecessore, l’irresolutezza mostrata nei confronti della Fronda e nella pace di Westfalia (1648), l’arricchimento personale, il rapporto ambiguo con Anna d’Austria e, soprattutto, il suo spregiudicato machiavellismo. Più tardi Jules Michelet, nella “Histoire de France au XVII siècle. Richelieu et la Fronde” (1858), descriverà Mazzarino come un avventuriero da commedia, come una sorta di germe patogeno che aveva inoculato nel corpo del Paese il morbo della doppiezza italiana.
Da noi, invece, proprio il machiavellismo del cardinale nato a Pescina è stato alla base della sua fortuna storica. Lo dimostra il successo che ha accompagnato il suo (probabilmente apocrifo) “Breviario dei politici”, pubblicato per la prima volta nel 1684. Si tratta di una raccolta di codici di comportamento nella sfera privata e in quella pubblica, e di massime sulle virtù della prudenza e della dissimulazione, che riecheggiano il suo apprendistato giovanile nella diplomazia pontificia.
In Italia è stato largamente citato sia nelle campagne giornalistiche contro i vizi della “casta”, sia per proporre in chiave qualunquistica un’idea della politica come arte di mantenere il potere. Giulio Andreotti, che amava giocare sulle sue presunte affinità con la “leggenda nera” del cardinale, ha definito come “massime eterne” quelle contenute nel “Breviario”.
Se si pensa alla lotta politica e parlamentare del tempo presente in Italia, non è difficile vedere all’opera qualche Mazzarino, magari “a sua insaputa”.