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Tim Cook di Apple non si piega al governo Usa (ma alla Cina sì?)

TIM COOK APPLE

Scontro al calor bianco fra Tim Cook e Barack Obama, via Fbi. Tema: «entrare o no» nel cellulare del terrorista (ucciso) Syed Farook, quello della strage di San Bernardino?

Essendo un iPhone 5C, «crittografia versione 9», «sincronizzazione iCloud» interrotta da Farook prima dell’attentato, Fbi non è stato in grado di «entrarci», qui potrebbe trovare dati fondamentali, dice, per risalire ai mandanti. Fbi lo aveva chiesto a Apple, avuta una risposta negativa, ha ottenuto un decreto della Magistratura, ma il ceo Tim Cook si è rifiutato di ottemperare. Vero o falso che sia, pare che abbia chiesto all’Fbi di tenere segreto il fatto, quando capì che non era possibile, lui diede immediata visibilità planetaria al suo rifiuto. Cook sostiene che questo software potrebbe essere usato su tutti gli altri apparecchi, ovvero cadere in mani sbagliate (Fbi?). Qualificati hacker sostengono di no. Arriveranno fino alla Corte Suprema?

Ovvio che lo scaltro Tim Cook abbia colto al volo un’occasione irripetibile in termini commerciali e di immagine per riaffermare Apple come il brand globale della privacy: lui guadagna sull’hardware mentre gli altri suoi compari californiani guadagnano sulla gestione (sottrazione?) dei dati dei clienti. Questi se si facessero paladini della privacy farebbero scompisciare dal ridere il mondo intero, non avendo un grammo di credibilità.

Cook invece è un ex attivista per i diritti umani, è focalizzato per identificare se stesso con la coscienza libertaria del Paese (sic!). In quest’ottica deve essere collocata la storytelling di Cook, oppositore del Ku Klux Klan (?), primo magistrale coming out di un Ceo, ora questa sceneggiata da «eroe del software», con la mitica locuzione «noi teniamo alla privacy dei clienti». Eppure aveva già autorizzato una cosa simile su 70 iPhone, seppur di vecchio modello. E in Cina si fa «tappettino» a sconce richieste anti privacy del Governo di Xi, stante la strategicità di quel mercato per Apple. Un mito della libertà o un eroe di cartapesta?

È iniziato uno scontro epocale fra due imbarazzanti profili che grondano ipocrisia, fra le due correnti di pensiero (le felpe e la gabardine) che in questo momento dominano l’Occidente, giusto chiamarla faglia di Sant’Andreas, avviene in California, su un tema divisivo per eccellenza: Sicurezza o Privacy?

Personalmente preferirei dire: Potere o Privacy? Le truppe si stanno schierando. Sul versante della Privacy troviamo tutte le aziende di Silicon Valley, con sfumature diverse, e con queste metà dell’opinione pubblica americana, in gran parte quella liberal, ma la faglia non segue solo le diverse culture, ma pure le diverse sensibilità, le paure, un contesto ove ci sono un’infinità di sfumature. Per esempio, nel partito Repubblicano Ted Cruz è con Cook, Trump con Obama. Con Obama c’è l’intero Apparato e l’altra metà dei cittadini americani. Gli intellò, non sanno più che pesci pigliare, finirà che staranno con Cook, più markettaro di un Obama in uscita.

Sul tavolo dello scontro troviamo un banale iPhone 5C di un terrorista islamico. Chissà se l’Fbi ha studiato il modello organizzativo Isis? Farook è, come tutti gli altri terroristi Isis, un kamikaze-soldato che comunica con un kamikaze-caporale, e lì la catena di comando si interrompe. Cosa pensano di scoprire? Lo scontro Obama-Cook sul cellulare di Farook è la metafora perfetta di questo nostro mondo, così ricco di parole alte, di comportamenti idioti, atto a rendere hollywoodiana la banalità.

Da alcuni anni il tema «Potere-Privacy», per come viene declinato, mi affascina, ci scrivo spesso. Qualche tempo fa, un giovane giornalista svizzero (Tommy) ed io abbiamo messo in cantiere un libro che vuole affrontare il tema dal punto di vista delle persone comuni, in una doppia versione. Per quelli nati prima del 1985 il libro avrà la struttura classica del saggio, con il linguaggio che gli compete, per quelli nati dopo sarà una specie di colloquio-rappresentazione teatrale fra un vecchio (io) e un giovane (Tommy). Anticipo l’incipit.

«Che l’uno per cento dei cittadini del mondo possegga più del restante 99%, come che 62 paperoni controllino la stessa ricchezza della metà più povera del pianeta, ci lascia indifferenti.

Che supermanager e politici puntino al «gigantismo» per meglio dominarci, ci irrita, ma sappiamo come difenderci. Che gli Stati Uniti abbiano rinunciato a essere l’Impero d’Occidente ci fa tenerezza, per loro, ma ci è indifferente.

Ma che le Classi Dominanti sappiano tutto di noi, e noi nulla di loro, no, questo non l’accettiamo.»

(Articolo pubblicato sul quotidiano Italia Oggi)

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