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Beppe Grillo, metamorfosi di un anti-politico

Di Roberto Caracci

Sono passati tre anni da quel 10 ottobre del 2012 in cui Beppe Grillo, ultrasessantenne fulgido e grondante come Ulisse appena spiaggiato nell’isola dei Feaci, sbucava sulla riva messinese di Punta Faro, dopo una nuotata di un’ora e 17 minuti, a rischio d’infarto, nelle gelide acque di Scilla e Cariddi. Questo redivivo Garibaldi stile-libero, che andava a colonizzare la Sicilia senza armi, tranne le proprie braccia grassocce, e senza spargimento di sangue, aveva già annunciato un tuffo in acque ben più gelide e burrascose, tra mostri ben più inquietanti di Scilla e Cariddi, quelli della politica, anzi del Parlamento stesso, da aprire e violare come una scatoletta di tonno. Il tuffo nella politica italiana aveva già prodotto la prolificazione dei meetup, il Non-Statuto del programma a 5 Stelle, l’espansione del blog più cliccato d’Italia, il popolo del web, i picchi nei sondaggi, e la conquista di amministrazioni locali e comunali più rapida della storia politica italiana.

La discesa in campo di un comico di fama, che poteva esaltare molti ma deludere altrettanti estimatori storici, poteva da Grillo essere facilmente giustificata dalla presenza di una sciame di comici già al potere: dopo l’era del politico che fa il comico, veniva annunciata quella del comico che fa il politico. Eppure l’intento era serio, anzi serissimo. Come maledettamente serio era il contenuto dei grandi spettacoli dagli anni ottanta in poi, con un crescendo inarrestabile di questioni ecologiche, civili, sociali ed economici, che faceva già impallidire i comizi delle campagne elettorali di tanti politici spenti, dalle promesse facili. Chi afferma che la discesa in campo fosse già pensata dai palchi dei teatri e dei Palazzetti dello Sport, o non conosce il Grillo di quegli anni, o non ne ha mai visto uno spettacolo. Confonde forse il Grillo degli spettacoli con quello dei comizi, dove il riso scatenato nelle piazze era già più sarcastico, più feroce ed amaro. Se la forma, il linguaggio, la mimica degli spettacoli erano quelli di un insuperabile mattatore delle scene, le idee espresse avevano una drammaticità etico-civile ancora prima che politica. Non c’era l’intenzione di sbaragliare il Parlamento, c’era solo la voglia di far ridere di un Italia barbara, corrotta, addormentata, inquinata nel clima atmosferico e sociale. Il salto clamoroso (il tuffo temerario) dall’aria di festa degli spettacoli ai marosi della politica avvenne, come ripeté Grillo, “suo malgrado”. Quando le porte dei palazzetti e il cancello stesso della sua villa genovese non bastarono più a contenere il suo ruggito – quella rabbia intrisa di riso che tutti gli conoscevano- , la claustrofobia culturale, etica, ambientale e civile del comico partorì la sua palingenesi, la sua voglia di dare concretezza politica all’urlo.

Quali interessi poteva avere Beppe Grillo, oggetto di diffidenza da più parti una scelta che lo scodellava nel gran pozzo sporco della politica? Intanto, è proprio quel pozzo che lui intendeva cominciare a ripulire, senza indugi né mediazioni. In secondo luogo, quanto ai presunti interessi economici (legati alla ditta-Casaleggio), Grillo non si era mai stancato di affermare che i salati biglietti dei suoi spettacoli, che lo avevano reso milionario, sarebbero stati solo un mesto ricordo a confronto con il prezzo pagato in proprio dalla sua catabasi politica: anche perché una scelta di Movimento anti-partitico, ma fortemente caratterizzato etico-politicamente, gli avrebbe probabilmente fatto perdere una marea di ammiratori e spettatori futuri di destra e di sinistra. A parte l’eroismo quasi autolesionistico di questa scelta, come lui amava scherzosamente ribadire, non si trattava di gettare la politica insieme all’acqua sporca dei politici, ma di sterilizzare il sistema, agendovi dall’interno come scassinatori di cassaforte capaci di ricostruirne un’altra (magari non bancaria e chiusa alla democrazia). L’antipolitica di Grillo è sempre stata la maschera di un anti-sistema, contro gli occupatori abusivi del Parlamento e i loro giornalisti pennivendoli, non contro la nobiltà del fare-politica.

Cos’è successo in questi tre anni, dopo il tuffo del comico-tribuno negli stretti della Politica? Sono accadute tante cose nuove, che tuttavia non hanno cambiato la fisionomia complessiva di Grillo. Intanto il comico genovese aveva scommesso su una crescente sparizione dell’importanza delle reti televisive sull’opinione pubblica, rispetto a quella del web, che non c’è stata: il potere elettorale di Rai e Mediaset, ad esempio, continua a persuadere una buona fetta di Italiani e a trattarli come popolo da sedare e ipnotizzare, non da svegliare  -come del resto Grillo aveva denunciato da sempre. L’allentamento delle soglie di controllo della presenza  in TV di seguaci del M5S, dai primi improbabili grillini allo sbaraglio, ai più persuasivi parlamentari del cosiddetto Comitato, da Di Maio a Di Battista, ha tutt’altro che nociuto alla purezza blindata e all’espansione del Movimento.  In secondo luogo, la democrazia-web dal basso, ossia la capacità del popolo grillino di autogestirsi in toto sulla rete, ha trovato una prevedibile contromisura nel filtro e nella delega: la stessa idea di comitato, o di gruppo ristretto di parlamentari operativi, avvicina di più l’utopia della democrazia diretta a un alone di ‘rappresentanza’.

E per finire, se non si può parlare di mutamento genetico di Beppe Grillo, certo però in questi tre anni qualcosa è mutato: il suo centralismo insieme ideologico e operativo. Non solo, politicamente, Grillo riveste un ruolo più decentrato rispetto a prima, ma è proprio ‘politicamente’ che il vecchio leone dei Palazzetti ha tirato fuori dal cilindro il coniglio di una saggezza insospettata: quella che gli consente oggi di recitare una parte non più di mattatore, leader in campo, fustigatore ruggente di idee e costumi, ma di ispiratore, di eminenza (quasi) grigia, di mentore defilato e persino garbato.

Il vecchio leone ha abbassato la criniera? No, semplicemente ha alzato l’asticella della politica partecipata, confermando ciò che aveva annunciato anni fa, alle soglie della sua torrenziale discesa in campo: qui non si tratta di me, io sono un semplice strumento, sono di passaggio, e ho prestato la mia verve comica e anche la mia salute per contribuire a risolvere i problemi di questo Paese. E qui, per concludere grillescamente, è il caso di ricordare che da molto tempo non udiamo dalla sua bocca la fanculizzazione di qualcuno. Al limite, l’offesa massima di questo vecchio leone domestico, come quella quasi anglosassone rivolta al Presidente Mattarella, è di oleogramma.

Finiti, apparentemente, i tempi apocalittici del Ruggito del Grillo.

(Articolo uscito sull’ultimo numero della rivista Formiche)

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