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Cosa (non) fa l’Europa in Turchia

Tutti dovremmo essere preoccupati per la catena continua di attentati subiti dalla Repubblica Turca e dai suoi cittadini, militari, civili e poliziotti. Dovremmo esserlo per molte ragioni e non solo per il comune sentimento di solidarietà verso le vittime innocenti. Dovremmo se non fossimo bersagliati da volubili propagande dei massmedia che, in Italia come nei Paesi europei, tendono a distrarci dalla realtà e vogliono costringerci nella gabbia delle polemiche e delle tragedie della politica interna.

La Turchia sta subendo una messe di attentati sanguinosi da almeno 8 mesi, non prendo nessuna parte, affermo la semplice realtà dei fatti. Dallo scorso luglio in più occasioni il governo di Ankara ha chiesto la collaborazione con le intelligence europee per la cattura di diversi e ben conosciuti esponenti del PKK (gruppo terroristico) che vivono indisturbati nel territorio di vari Paesi dell’Unione. Non si è fatto nulla. Da allora, il governo turco ha deciso di muovere una campagna massiccia di polizia nelle regioni del Paese dove i curdi estremisti vivono. Non sono giunte le collaborazioni sperate e dunque la Turchia ha agito da sola.
L’accordo sul controllo e l’accoglienza dei rifugiati, firmato nello scorso dicembre dalla Ue e dalla Turchia a me è apparso come una novella “dhimma”, attende ancora di essere rispettato. La Turchia farà da sola e ogni meschinità verso la Grecia e accuse di incapacità da parte delle autorità elleniche appaiono francamente incomprensibili e sbagliate. Le pretese della Turchia verso l’Europa in questo caso sono condivisibili e corrette, l’Europa in queste circostanze dà prova di incredibile doppiezza e irresponsabile opacità.
Dal settembre scorso e poi ancora ieri, il governo turco ha affermato di voler creare una “zona cuscinetto” di diversi chilometri dal suo confine all’interno del territorio siriano, da far popolare dalle minoranze siriane dei turcomanni. Sinora nessuno ha formalmente protestato per questa ingiusta pretesa che non solo violerebbe il territorio e l’integrità dei confini siriani, ma creerebbe un precedente molto grave, oltre ad aggravare la drammatica situazione siriana. Solo la Russia, l’Iran e la Siria hanno stigmatizzato questa ingiusta pretesa. Tuttavia, con altre forme di intervento, la Turchia sta già perseguendo i propri progetti, se è vero che negli scorsi giorni diverse centinaia di militanti pro-Isis hanno varcato i confini della Turchia e raggiunto i sobborghi di Aleppo, dove le armate di Assad e dei suoi alleati stanno riconquistando la città e sconfiggendo i terroristi tagliagole. In particolare si vorrebbe fermare l’avanzata dei liberatori dall’Isis alla città di Azaz a pochi chilometri dalla frontiera turco-siriana. Questa è non solo una pretesa, ma una conferma del “cattivo” controllo del confine, per non dire omissione del controllo dei confini che oggettivamente favorisce l’Isis e i suoi gruppi terroristici. Scelta sbagliata e censurabile che offusca ogni giusta pretesa di poter essere aiutati a sconfiggere il terrorismo interno.
Tale duplice atteggiamento però ci mostra almeno una evidenza: senza una ripresa della capacità diplomatica europea, nella regione mediterranea e mediorientale, ciascuno si sente in diritto di perseguire i propri esclusivi interessi. Non è per nulla una situazione ammissibile, soprattutto se consideriamo la prossima entrata in guerra del nostro Paese in Libia. Le attribuiremo definizioni edulcorate e fantasiose, tuttavia non è per nulla un caso che il Presidente della Repubblica al suo ritorno in Italia, dopo il viaggio in Usa, ha convocato il Consiglio Supremo di Difesa. Se l’Italia e l’Europa si comporteranno con Libia, Tunisia ed Egitto alla stregua di come stanno facendo con la Turchia, negando le giuste pretese e impedendo ingiustizie dannose, ci troveremo il caos alle porte in un mare di sangue.
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