Continuano a sentirsi fandonie sull’utilità del bail-in, quasi tutte centrate sul tema che esso protegge la collettività dagli effetti delle crisi bancarie. La giustificazione è piuttosto “pelosa” perché la legge scarica le responsabilità degli errori di politica economica (fiscale, monetaria e bancaria) commessi dalle autorità sulle spalle della clientela bancaria e perché dà la colpa all’ignoranza finanziaria della clientela senza che si tenga conto delle omissioni dovute (volute?) di informazioni in possesso dalle autorità. Far credere inoltre che le crisi bancarie recenti siano solo il risultato di malagestione bancaria è falso e aizza in direzione sbagliata e comoda per le autorità le reazioni della pubblica opinione, oltre che ovviamente quella dei risparmiatori penalizzati. Affermare, vantandosi, che la Banca d’Italia ha fronteggiato e superato un centinaio di crisi va certamente a merito della stessa, ma solleva il problema che la clientela di questa banche non è stata informata dei rischi che essa correva. Se di malagestione si deve parlare, ossia se si entra nel campo dell’etica che provoca ondate di moralismo, allora mi sembra che la cerchia degli interessati si allarghi.
La tesi che con il bail-in gli interessi della collettività ricevono maggiore protezione è sostanzialmente falsa e ci sono cascate anche persone per bene, ma che non hanno una visione complessiva delle complesse interrelazioni tra le variabili dell’economia. Con il bail-in si ripete il dramma italiano dello spegnimento del motore delle costruzioni indispensabili per la crescita ritenendo che bastasse puntare sul funzionamento del motore delle esportazioni, verso cui si sono indirizzati gli impegni di riforma dell’Ue e dell’Italia. Infatti per raccogliere poco meno del 2% di nuove tasse sulle abitazioni (circa 30 mld di euro) in nome della giustizia distributiva tra chi possiede immobili e chi non li possiede (sbrigativamente individuati tra ricchi e poveri) e in ottemperanza agli impegni europei si è inflitta al patrimonio immobiliare una perdita nell’ordine di 3-4 mila mld. Per “dare una lezione” ai piccoli risparmiatori “ignoranti” della Banca Etruria e avvertire i futuri clienti bancari di stare attenti dove mettono i loro risparmi si sono causati due effetti dirompenti: hanno concorso a destabilizzare i valori di borsa delle banche nell’ordine di circa il 30% e causato una grave lesione al patrimonio di credibilità di cui godevano le banche italiane, da sempre un’attività non scritta nei conti dell’economia e della società italiana. È così che si difendono gli interessi della collettività?
Ma non basta: si afferma che coloro che possiedono depositi bancari inferiori ai 100 mila euro sono protetti alle condizioni previste dalla legge. Prima di tutto occorre prendere posizione se questa fosse l’intenzione della nostra Costituzione quando decise di porre tra i suoi principi fondanti la protezione del risparmio, di tutto il risparmio. Poi domandarsi se questa protezione dichiarata maschera la realtà se non indica i limiti oggettivi della garanzia prestata obbligatoriamente dalle banche se gli interventi generano altre crisi bancarie fino al caso limite di una crisi sistemica, ossia diffusa a tutte le banche. L’esistenza di questi limiti comporta necessariamente l’intervento della collettività (leggi lo Stato, tanto per uscire dall’equivoco alimentato dalle dichiarazioni delle autorità) per evitare che il salvataggio di alcune banche trascini in crisi le altre. Questi limiti possono essere calcolati seguendo il principio dell’ottimalità di Vilfredo Pareto, grande economista dimenticato, che i governanti italiani ed europei trascurano: l’ottimo economico e sociale si raggiunge quando il vantaggio di uno non si raggiunge a spese di un altro. Se il salvataggio dei depositanti che possiedono meno di 100 mila euro mette in crisi altre banche e, quindi, altri depositanti di pari importo, permettere che ciò avvenga senza preordinare una risposta viola i sacrosanti principi della buona gestio rispetto alla mala gestio. Il bail-in, così com’è rientra nella seconda categoria. Se i 4 mld di euro “spesi” per il salvataggio delle 4+1 banche fossero stati ripartiti pro-quota tra le associate al Fondo tutela depositi invece di essere anticipati da tre banche, probabilmente il sistema sarebbe incorso in questa crisi a catena. Essendo anch’io sprovvisto delle informazioni di cui le autorità dispongono, probabilmente le banche chiamate a intervenire avrebbero potuto assorbire l’onere senza entrare in difficoltà. Ma il problema rimane.
Conclusione: a seguito del bail-in la collettività paga un onere maggiore di quello che avrebbe sopportato se lo Stato fosse stato chiamato a intervenire pro-quota, ossia ad assumersi le sue responsabilità per tutelare il vero interesse collettivo che non hanno saputo tutelare. L’esempio del maggior onere subito dalla collettività americana e del resto del mondo, Italia compresa, a seguito del mancato intervento di copertura dei crediti subprime insolventi e dei debiti della Lehamn Brothers per dare una lezione a chi aveva praticato l’azzardo morale non ha insegnato proprio nulla ai nostri moralizzatori improvvisati
(Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Paolo Savona apparso su Milano Finanza).