Non si può certo dar torto a chi sostiene che il sollievo che segue le azioni delle banche centrali diventa sempre più effimero. A 3 sedute dalla mossa a sorpresa della BOJ, gli effetti sull’azionario globale sembrano totalmente svaniti, e quelli sulla divisa sono dimezzati. Restano quelli sul fixed income, ma li da un lato è una questione meccanica, e dall’altro vi si sommano quelli legati alla risk adversion, e al calo delle attese di inflazione.
Strano a dirsi, gran parte dell’angoscia odierna sui mercati si può far risalire, a mio modo di vedere, direttamente o indirettamente, alla debolezza del petrolio.
Intanto, dopo aver fatto i massimi relativi tra venerdi e l’apertura di ieri, l’oro nero ha intrapreso una discesa che lo vede perdere oltre l’11% nello spazio di meno di 48 ore. Ieri la cosa è stata tollerata dagli indici, nella probabile convinzione che si trattasse di una correzione fisiologica. Ma oggi, con questi numeri non era proprio possibile.
Come noto, l’impatto sui mercati avviene attraverso vari canali:
– Lo stress sui settori energy, ben rappresentato oggi nelle trimestrali di British Petroleum (-91% e massima perdita annuale da 30 anni) ed Exxon (profitti ai minimi dal 2002).
– Lo stress sui paesi produttori, molti dei quali emergenti e con le finanze pubbliche già in difficoltà, ed in generale l’impatto sulla percezione dello stato di salute del ciclo macroeconomico globale.
– L’impatto sui settori bancari, tramite 2 distinti effetti: quello sugli accantonamenti a fronte perdite per loans ad aziende del settore energy, e quello più generale, riveniente dall’impatto sulle attese di inflazione e quindi sulle curve dei tassi e sulle politiche monetarie (i tassi bassi/negativi comprimono i margini di intermediazione del credito).
– Last but not least, la pressione che il crollo dell’oil esercita sull’inflazione presente e futura, vanifica gli sforzi delle banche centrali, e ne mina la credibilità, contribuendo ad alimentare la crescente percezione di impotenza.
E gli effetti positivi? L’aumento del reddito disponibile, l’impatto sui margini delle aziende consumatrici di energia, il trasferimento di ricchezza tra i ricchi produttori e i consumatori? Esistono, ma si dispiegano più lentamente, e quindi al momento sono totalmente sopraffatti da quelli negativi.
Non è la prima volta che un movimento cosi estremo vede i mercati sovrappesare gli effetti più immediati, a discapito di quelli più rilevanti. Nel 2007-2008, alla vigilia della Grande Crisi Finanziaria, il petrolio entro in una bolla speculativa che ne fece raddoppiare il prezzo in un anno. Il mercato, aiutato in questo da policymakers poco illuminati, ne sovrappesò gli effetti inflattivi di breve, a discapito di quelli pesantemente recessivi, di medio periodo.
Il risultato fu, che, a recessione già iniziata, i rendimenti crebbero fino a fare un picco a metà 2008, accompagnati dal famoso rialzo dei tassi di Trichet (peraltro imposto dalla Bundesbank), in seguito consegnato alla storia come uno dei più, se non grandi, evidenti errori di politica monetaria dell’era moderna.
Non che la grande recessione sarebbe stata evitata, ma certo alzare i tassi al centro di essa non deve essere stato di particolare aiuto.
La situazione attuale è opposta. Le banche centrali lottano per contrastare l’effetto disinflattivo del crollo delle commodities, e il loro temporaneo insuccesso alimenta il nervosismo.