Skip to main content

Così il pericolo Brexit ha portato a galla il fallimento dell’Ue

Wolfgang Münchau ha scritto sul Financial Times che, comunque vada, l’Unione è finita nel momento in cui la discussione su Brexit è cominciata. Nelle mie Considerazioni sulla lettera di David Cameron a Donald Tusk pubblicata su Aspenia online il 20 novembre scorso scrivevo che, a ben guardare, la lettera non riguardava il futuro dell’Europa, ma il presente, perché metteva in evidenza cosa fosse l’attuale Ue, di cui però non si voleva prendere atto, mantenendo nascosta la verità nel fondo della coscienza europea.

David Cameron ha fatto emergere la verità con chiarezza: l’Ue è un’area di libero scambio di merci tra 28 paesi, di cui 18 hanno deciso di fare ciò che gli inglesi hanno detto fin dall’inizio di non gradire: delegare la sovranità monetaria a una istituzione sovranazionale. Egli ha avvertito che, se l’eurosistema avesse intenzione di prendere decisioni che toccano anche chi sta fuori, non pensassero minimamente di imporre agli altri queste nuove regole, soprattutto se causassero un danno al Regno Unito.

Tutto ciò mette in chiaro, ammesso che ce ne fosse bisogno, che l’unificazione politica non si può fare, anche a volere ipotizzare con uno sforzo di volontà che Germania e Francia lo vogliano. Quindi, il presupposto della sopravvivenza dell’euro viene a mancare. Questa è un’implicazione non da poco, implicita nei contenuti della lettera di Cameron ed esplicita negli accordi raggiunti per sventare la Brexit. Semmai ce ne fosse stato ancora bisogno, questo accordo ha ribadito che la difesa dei confini dello Stato e, quindi, della libera circolazione delle persone, è una prerogativa sovrana che il Regno Unito intende gestire autonomamente. Un mercato unico dove la circolazione dei capitali è libera e quella del lavoro bloccata e dove esistono due monete i cui rapporti di cambio fluttuano anche sulla base di vicende non economiche, rende improprio riferirsi a un mercato comune, perché tale non è.

È inutile girare attorno al problema, l’Europa è come il premier inglese la vuole, ossia un’alleanza dove alcuni si sentono uniti e altri divisi; di ciò va preso atto, individuando con urgenza il meccanismo per tenere insieme questa eterogeneità. Per ora la paura del dopo funge da collante. Le dichiarazioni di Cameron dopo il dissenso manifestato da Theresa May (il Segretario di Stato per gli Affari Interni) e Boris Johnson (il sindaco di Londra) confermano che la paura, non altro, mantiene insieme i cocci dell’Unione sognata (è il caso di dirlo).

In conclusione, data questa concezione dell’Ue, la posizione di Cameron è la più coerente. Una volta che gli altri Paesi europei lo avranno compreso, potranno anche ignorare ciò che giustamente sottolinea Münchau. Il problema merita una risposta meno banale di quella data da Bruxelles, fatta di cose concrete e non di mascheramenti della realtà che portano l’Europa in un baratro. È giunto il momento di stabilire chi sono veramente gli europeisti e chi si cela dietro questo sogno politico.

Analisi pubblicata su Aspenia online


×

Iscriviti alla newsletter