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World press photo 2015

La World Press Photo 2016 è quella che ritrae un uomo che sta consegnando un bambino molto piccolo attraverso del filo spinato a delle altre braccia che sono protese verso di lui. Le braccia che consegnano il corpicino stanno fuori, di là dal filo spinato. Quelle che lo ricevono stanno dentro.
È questa la foto che rappresenta il 2016, dunque. Più delle facce piene di orrore del Bataclan. Più ancora delle immagini di devastazione e morte scattate in Siria.

C’è un dentro e c’è un fuori nella foto. Tornano i muri. I peggiori, quelli che lasciano intravedere a chi sta fuori cosa c’è dentro. Quelli con il filo spinato. Muri trasparenti di violenza, che fanno male se provi a oltrepassarli. Che fanno tornare alla mente il peggior novecento. Ricordate i rocamboleschi salti in moto di Hilts tra il filo spinato per provare a raggiungere la Svizzera?

Se ogni città ha i suoi confini e i suoi muri, allora anche i muri sono polis. Ma se i muri sono strumento di divisione, di violenza, allora quei muri sono muri di difesa. Non si limitano a delimitare una proprietà, ma esercitano una forza che deve garantire a chi sta dentro la sicurezza, un rifugio dalla paura. La paura è concime elettorale, prepara il terreno per le élite. E delle élite hanno bisogno le società globali ridotte a una somma d’individualità.

La speranza e il futuro dell’umanità ritratta dalla foto se ne stanno dentro quel corpicino indifeso. E con lui provano a sgattaiolare oltre i muri e le barriere.

Nel 2013 a vincere fu la foto che ritraeva il funerale di due bimbi, di 2 e 3 anni, uccisi in Palestina, nella Striscia di Gaza. I due corpi erano portati, come in sacrificio, dagli zii i cui volti erano segnati da una plastica disperazione. Di quella foto colpiva la luce che pareva non voler scendere dentro quella stradina in processione.
Nello scatto di quest’anno, luce non c’è n’è. L’azione si svolge di notte. Di nascosto. Un fioco bagliore, quello di Luna che leopardianamente guarda alle umane vicende senza troppo curarsene, accende questo set improvvisato. Dove sovrastrutture statutarie si fanno beffa dell’umanità.

Il filo spinato nella fissità dello scatto pare cingere la testa del piccolo. È la sua e nostra corona di spine.


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