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L’utopia che manca: ritorno al socialismo

L’incipit è accattivante: riavviamo la dialettica politica sulla centralità dell’essere umano e degli esseri viventi, dei loro bisogni e delle loro necessità. E pure affascinante, riattiviamo il discorso sulle riforme strutturali che abbiano al centro l’uomo e non il capitale: sul piano economico, rendere pubblico tutto quello che è di pubblica utilità, dalle risorse naturali ai servizi di base, incluso quello bancario; sul piano sociale, piena ed equa ridistribuzione della ricchezza; sul piano politico, la piena rappresentatività nelle istituzioni affinché nazionalizzazione equivalga a socializzazione e non sia un processo in mano a pochi.

Sono due dei passaggi più significativi del progetto culturale e politico denominato ritorno al socialismo che sarà al centro del convegno promosso per il 19 marzo a Roma da Convergenza Socialista, neo partito in fieri ma giuridicamente costituito, con l’obiettivo ambiziosissimo di gettare le basi per l’alternativa all’ideologia liberista dominante.

L’analisi sociale di Carlo Marx, lo sfruttamento e quindi la liberazione dell’uomo dall’alienazione, e la teoria economica di John Maynard Keynes finalizzata a una buona vita e una buona società, attraverso una equa ripartizione del lavoro e dei redditi, sono per Convergenza Socialista, guidata da Manuel Santoro, così i referenti storico-culturali, ancora attuali perchè mal utilizzati  se non addirittura baypassati ed elusi.

Certo che seguendo il fecondo e ricco filone culturale e politico che nel corso del secolo scorso si è mosso proprio sulle orme teoriche di Marx e Keynes, ci si imbatte in uomini di cultura prestati alla politica che pur se non hanno vinto, in termini elettoriali e di consensi partitici, non hanno neanche perso: non sono cioè stati sconfitti dalla storia, dai processi storici: si pensi a Antonio Gramsci, Riccardo Lombardi, Bruno Trentin, Giuseppe Di Vittorio, Vittorio Foa, a quanti cioè non si sono piegati nè sono stati annichiliti dal catto-comunismo, avviato nel ’44 con la svolta di Salerno, perfezionato nel ’47 con l’art.7 della Costituzione che elevò a norma costituzionale i Patti Lateranensi del ’29 tra la Chiesa e il Regime fascista dallo stalinista Palmiro Togliatti e proseguito negli anni ’70 da Enrico Berlinguer con il compromesso storico. Nè sono stati corrotti dalle prebende che la politica offre ai facili trasformismi.

Più che riferirsi a Gramsci e alle sue profonde, minuziose analisi dei Quaderni del carcere, l’egemonia culturale, la Costituente tra tutte le forze democratiche contro il fascismo e soprattutto il ruolo della già allora potente Compagnia di Gesù, si preferì a sinistra ascoltare e inseguire il cattolico e nazista Martin Heidegger da cui nacque l’esistenzialismo.

Più che riferirsi ai protagonisti – Lombardi, Basso, Foa, Ingrao – di quel riformismo rivoluzionario, filone culturale che non sfuggì all’attenzione dell’intellettuale francese Gilles Martinet, che propugnava le riforme di struttura come leva per riformare, e non già per distruggere, il capitalismo divenuto troppo costoso per l’umanità, si preferirono a sinistra il patto tra produttori e la politica di austerità, molto meno impegnative sul piano politico e partitico.

Non a caso se nel riformismo rivoluzionario trovarono spazio le intuizioni di Marx, senza l’alienazione ogni teoria economica diventa sterile, e di Keynes sulla piena occupazione in quanto i veri valori della società umana non si ottengono con lunghe ore di lavoro e neanche con gli acquisti di prodotti superflui e di facile invecchiamento, a sinistra si scelse un’altra strada più di compromesso (storico) che di alternativa per non turbare lo status quo.

Adesso che Convergenza Socialista nel disastro socio-economico prodotto dall’ideologia neoliberista con la crescita a dismisura delle diseguaglianze riprenda in mano queste feconde elaborazioni sull’uguaglianza e sulla centralità dell’essere umano con i suoi bisogni e le sue esigenze, è di per sè un fatto certamente positivo, rivoluzionario. Un’utopia il ritorno al socialismo? Se fosse sarebbe un bel balzo in avanti: l’utopia ha infatti la straordinaria forza, potenza, quando è realmente umana e profondamente laica di mobilitare le persone.


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