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Contro la retorica dell’8 marzo

L’8 marzo di ogni anno, puntualmente, si versano fiumi d’inchiostro sull’origine della Festa della Donna. Qui non intendo aggiungervi nemmeno una goccia, se non per ricordare che in Italia essa fu in realtà celebrata per la prima volta il 12 marzo 1922 (mentre è ormai provato che l’8 marzo 1908 non ci fu il rogo alla fabbrica tessile newyorkese “Cotton”, in cui perirono alcune centinaia di operaie). Proviamo invece a curiosare nel passato remoto della condizione femminile. Mi sembra un modo più interessante per rendere omaggio a una giornata in cui da troppo tempo si assiste al trionfo della retorica e delle frasi fatte.

Beninteso, oggi non c’è democratico il quale possa pensare che la donna “c’est la peste de l’air, l’Erynne envenimée”. Proprio così, infatti, il poeta protestante Théodore Agrippa d’Aubigné descriveva nel 1616 Caterina de’ Medici (1519-1589), vedova di Enrico II e dal 1560 reggente di Francia. Secondo la storica Cesarina Casanova, l’Erinni velenosa – che rende irrespirabile l’aria con la sua perfidia e le sue diaboliche macchinazioni – è il distillato di tutti i cliché che il Rinascimento attinge dalla cultura misogina medievale: la donna al potere vista come una beffa della natura, tendenzialmente strega, lussuriosa, incestuosa, eretica (“Regine per caso”, Laterza, 2014).

In effetti, nel corso del Rinascimento diverse generazioni di giuristi elaborano un sofisticato repertorio di tesi misogine, prima fra tutte quella della “imbecillitas mentis” (incapacità di discernimento) del sesso debole. Nondimeno, nella Francia cinquecentesca l’arretramento della condizione sociale della donna coincide con un sorprendente progresso del suo prestigio intellettuale. Sulla scorta del “De claris mulieribus” di Boccaccio, tradotto su impulso di Anna di Bretagna, moglie di Carlo VIII, nasce un filone letterario destinato a una lunga fortuna, centrato sull’elogio della “femme forte” e della “femme savante”. La vera novità di questo Rinascimento al femminile è costituita proprio dall’ingresso delle donne nell’agone culturale, con il progetto dichiarato di contestare il monopolio maschile della letteratura. Margherita di Navarra (1492-1549), sorella di Francesco I e amica di Vittoria Colonna, sarà la prima poetessa francese a essere pubblicata.

C’è stato, allora, un Rinascimento per le donne? Le risposte a questa domanda, formulata per la prima volta nel 1972 dalla studiosa americana Joan Kelly-Gadol, non sono state univoche. Alla prova dei fatti, in ogni caso, mai come nell’Europa del Cinquecento un numero tanto rilevante di donne – figlie, sorelle, mogli, madri, amanti – ha avuto accesso ad elevate responsabilità o ha governato in prima persona. Farne l’elenco completo non è possibile. Ma non si può sottacere che per circa trent’anni sarà una regina, Caterina de’ Medici, a tutelare gli interessi della Francia in uno dei periodi più tragici e sanguinosi della sua storia. In una celebre requisitoria, Jules Michelet ne farà l’incarnazione della doppiezza e della cattiveria femminile. Nella “Comédie Humaine”, Honoré de Balzac ne esalterà invece la politica di tolleranza e di riconciliazione, che avrebbe consentito alla monarchia transalpina di superare una delle sue prove più difficili dopo ben otto guerre di religione e il massacro degli ugonotti nella notte di San Bartolomeo (23-24 agosto 1572).

Il pur illustre corteo di signore al potere non rivela un miglioramento giuridico della condizione delle donne. Dimostra soltanto che molte tra loro hanno saputo far valere le proprie ambizioni e la propria intelligenza – e anche la loro bellezza – a dispetto dei pregiudizi maschili. Ma, come ha scritto Benedetta Craveri in “Amanti e regine” (Adelphi, 2008), per quanto spettacolari i loro successi costituiscono la somma di casi individuali, non si saldano mai in un’unica storia. Perché ” la Storia rimane appannaggio ufficiale degli uomini, e per inserirsi nei suoi ingranaggi senza venirne stritolate, bisogna mascherarsi, giocare d’astuzia, crearsi alleati potenti, distribuire favori, sedurre, corrompere, punire – e sapere, al momento giusto, uscire di scena”.

Da allora molto è sicuramente cambiato, ma forse ancora non del tutto.



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